«Il vizio della speranza» Una parabola senza intensità
Viene come il dubbio che Edoardo De Angelis non creda fino in fondo ai personaggi che crea, visto che invece di accettarne le contraddizioni finisce per costringerli a didascaliche spiegazioni o ridondanti auto da fé. Succedeva in Indivisibili con la parentesi in barca, succede in questo Il vizio della speranza, dove la «conversione» alla vita della protagonista Maria (una convincente Pina Turco) diventa una troppo insistita parabola evangelica sul valore della vita. Lei, la protagonista, gestisce con amorale cinismo la «consegna» delle prostitute incinte a chi si occuperà di vendere i nascituri a madri sterili. Almeno fino al giorno in cui si scopre incinta e decide, nonostante una fragilità uterina che potrebbe causarle la morte, di portare a termine la gravidanza. Intorno tutto rema contro, dalla mezzana (Marina Confalone) che gestisce il traffico dei neonati alla madre (Cristina Donadio) che pensa solo ai guadagni che perde. Ma se è convincente (e anche inedito) il mondo fangoso e desolato in cui cercano di sopravvivere i personaggi, il film finisce per perdere coerenza e intensità quando la sceneggiatura (del regista e scrittore Umberto Contarello) sente il bisogno di spiegare ad abundantiam che Maria è stata toccata dalla Grazia. E l’ambizione poetica che dovrebbe guidare la regia finisce per appesantirsi in una serie di figurine programmatiche e didascaliche che diventano maniera.