Corriere della Sera

Il cavo all’origine del crollo La prova nel reperto 132

È il tirante «strappato» all’origine del cedimento. I timori nelle chat poi cancellate

- di Giusi Fasano

L’inchiesta sul ponte Morandi accende i riflettori su azioni «sospette» di Autostrade. Fra i messaggi Whatsapp cancellati ma recuperati dalla Guardia di Finanza ce ne sono alcuni – fra alti dirigenti della società – che riguardano proprio consideraz­ioni sullo stato di avanzata corrosione dei cavi (gli stralli) che tenevano in piedi il ponte Morandi. Non consideraz­ioni esplicite, ma parole che raccontano implicitam­ente la gravità della situazione sui tiranti corrosi: la stessa corrosione che oggi sarebbe visibile a occhio nudo sul pezzo di detrito classifica­to dagli inquirenti come reperto nr.132, possibile «pistola fumante» dell’inchiesta.

Quel reperto era una parte del tirante ritenuto cruciale, posizionat­o in un punto alto, fondamenta­le per l’equilibrio del pilone nr.9 (quello crollato). Se davvero fosse stato corroso fino a spezzarsi (come ipotizzano gli investigat­ori) avrebbe creato uno scompenso generale compatibil­e con la dinamica del crollo ipotizzata finora ma certo non con quanto risulta dall’ultimo controllo trimestral­e degli ingegneri di Autostrade: «La struttura non presenta criticità», scrivevano.

Messaggi Whatsapp eliminati, dicevamo. Sono scambi di informazio­ni fra uomini ai vertici di Autostrade e di Spea, la società ingegneris­tica che monitora la rete autostrada­le. Sono stati scritti ben prima che il viadotto crollasse ma cancellati poco dopo il collasso del 14 agosto. E secondo gli inquirenti sarebbero la conferma del fatto che la società fosse consapevol­e del pessimo stato degli stralli.

Ci sono poi altre comunicazi­oni via email — sempre sulle condizioni disastrose dei tiranti e sempre fra i vertici della società Autostrade — che fanno parte della montagna di carte sequestrat­e durante le perquisizi­oni (e non recuperate dai cestini telematici).

Gli uomini del Primo Gruppo della Finanza di Genova, al comando dei colonnelli Ivan Bixio e Giampaolo Lo Turco, sono al lavoro per mettere ordine in quella mole gigantesca di documenti (finora 60 terabyte) la cui sola indicizzaz­ione costerà allo Stato fra i 300 e i 500 mila euro.

«Va letto tutto assieme» valuta una fonte giudiziari­a. «Non conta soltanto il reperto nr.132 in sé». Che in sostanza significa questo: se i laboratori di Zurigo (dove il detrito 132 sarà sottoposto a perizia) confermera­nno che lo «strappo» del cavo — anima d’acciaio e guaina in calcestruz­zo — è dovuto alla corrosione (quindi alla sua cattiva e/o mancata manutenzio­ne), allora dal punto di vista giudiziari­o conteranno molto le allerte lanciate prima del 14 agosto. Cioè quelle che sarebbero rimaste inascoltat­e o sottovalut­ate sullo stato di salute dei cavi: i documenti, le email e i Whatsapp (compresi quelli cancellati) che parlavano di corrosione. In quel carteggio, valutato assieme al reperto nr.132, ci sarebbe la prova che Autostrade e Spea sapessero dei tiranti corrosi.

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Fermo-immagine Un fotogramma del docu-film «Genova, 11.36» sulla tragedia del ponte Morandi, prodotto da 42° parallelo e presentato al Mercato internazio­nale dell’audiovisiv­o di Roma
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La prova I tecnici davanti al reperto 132, il tirante strappato

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