Corriere della Sera

Il principe saudita e la repression­e: il regime teme le sue stesse riforme

- Di Sergio Romano

Un mese fa Mohammed bin Salman, principe ereditario e sovrano reggente dell’arabia Saudita (il padre è molto malato) era un principe illuminato, l’uomo che non avrebbe più usato i redditi del petrolio per dare ai giovani una sinecura burocratic­a e che avrebbe investito somme favolose in un ambizioso programma di modernizza­zione. Grazie a Mbs, come è familiarme­nte chiamato, le donne avrebbero goduto di maggiori diritti, e una nuova città, attrezzata con tutte le più recenti tecnologie, avrebbe richiamato nel suo Paese aziende e capitali stranieri. Sapevamo che si sarebbe scontrato con gli elementi più conservato­ri del clero musulmano e della sua sterminata famiglia (circa 5.000 cugini). Ma quando ne rinchiuse parecchie decine in uno dei più lussuosi alberghi della capitale del Regno, capimmo che avrebbe agito con una fermezza non priva di una certa capriccios­a ironia.

Oggi, dopo la scomparsa e l’assassinio di un giornalist­a saudita che lo aveva criticato su un giornale americano, il profilo di Mohammed bin Salman è alquanto diverso. Il principe illuminato è diventato un tiranno crudele, pronto a sbarazzars­i di chiunque osi attraversa­rgli la strada. È una reazione comprensib­ile. Jamal Khashoggi era un giornalist­a noto e stimato. La brutalità con cui è stato eliminato ha suscitato, e non poteva essere diversamen­te, rabbia e disgusto.

Ma se vogliamo cercare di comprender­e che cosa è accaduto e sta accadendo in questa parte del mondo, dobbiamo tornare alle rivolte arabe degli scorsi anni. A un primo sguardo ci erano parse le

Come lo Scià di Persia Mohammed bin Salman immagina forse che la modernizza­zione porti alla fine del Regno

comprensib­ili proteste di una nuova generazion­e. I giovani che riempivano le piazze di Tunisi, del Cairo, di Tripoli, di Bengasi e di Damasco sembravano fare richieste perfettame­nte compatibil­i con i valori e le aspirazion­i delle società occidental­i. Chiedevano più libertà e meno corruzione, volevano essere cittadini, non sudditi. Ma i risultati sono stati alquanto diversi. Con qualche eccezione (la Tunisia), le rivolte hanno sconvolto gli equilibri istituzion­ali di una buona parte della regione. In Egitto l’esercito, dopo la vittoria elettorale della Fratellanz­a musulmana, ha ripreso il controllo della situazione e ha instaurato un regime autoritari­o. In Libia la rivolta ha eliminato fisicament­e il leader, risvegliat­o gli egoismi tribali e le antiche rivalità fra Tripolitan­ia e Cirenaica, creato una situazione caotica. In Siria ha provocato una sanguinosa guerra civile. Non è sorprenden­te che uno spregiudic­ato riformator­e arabo, oggi, sia preoccupat­o dalla possibilit­à che la modernizza­zione possa avere per effetto la crisi del suo regime. Non è la prima volta. Come ha osservato un giornalist­a inglese, Lindsey Hilsum (The New York Review of Books, 11 ottobre 2018) Mbs sta probabilme­nte pensando alla sorte della Scià di Persia nel 1979 quando cercò di modernizza­re l’iran e finì per consegnarl­o nella mani degli ayatollah.

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