«Io, scampato al disastro aereo tenendo accanto una bambina»
Damiano, il medico volontario del Cuamm e la tragedia in Sud Sudan
I primi sono stati tre ragazzi tra i 15 e i 20 anni che lo hanno tirato a forza sulla loro canoa rudimentale. Poi gli uomini che lo hanno messo sul pick-up, le donne arrivate in soccorso e ancora tutto il personale dell’ospedale di Yirol dove era destinato per aiutare i più poveri. E dove invece è stato aiutato lui. Damiano Cantone, trentaduenne medico catanese scampato all’incidente aereo del 9 settembre scorso in Sud Sudan, li pensa come «anelli di una catena di umanità che mi ha salvato». E non vede l’ora di tornare da loro, «per completare il mio progetto e per restituire un po’ di quello che hanno fatto per me».
Cantone era in viaggio per cominciare i sei mesi di tirocinio per Medici con l’africacuamm, la prima organizzazione non governativa sanitaria italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Il giorno prima era rimasto dalla mattina al pomeriggio in aeroporto a Giuba, capitale del Sud Sudan, unico italiano ed europeo in mezzo alle 23 persone che come lui erano dirette al piccolo paese. Una giornata intera per conoscersi, parlare, giocare con i bambini: e lui, il «dottore» arrivato al Cuamm per caso mosso dal bisogno di fare un’esperienza ● Il 9 settembre scorso è scampato a un incidente aereo nel Sudan del Sud
● Cantone era in viaggio per iniziare i suoi sei mesi di tirocinio all’interno dell’ong italiana Medici con l’africa Cuamm che promuove e tutela la salute degli africani professionale e umana insieme, aveva gia cominciato a sentirsi parte di quel popolo.
L’aereo decolla la mattina del 9 settembre e dopo 50 minuti la pista è vicina. Una manovra brusca e poi la mente di Damiano Cantone si chiude: «Sono stati i parenti di chi viaggiava con me a raccontarmi, nei giorni successivi, che il capitano aveva dato indicazioni per l’emergenza e molti avevano usato i cellulari per l’ultimo saluto alle loro famiglie». L’aereo precipita, per cause non ancora chiarite, nel lago di Yirol. La mente di Cantone si riaccende su questa immagine: «Mi sono trovato con l’acqua fino al torace e mi sono fatto spazio fra le lamiere, tenendo vicino a me una bambina. Gridavo, chiedevo aiuto e ho visto questa canoa avvicinarsi e questi ragazzi raccogliere me e la piccola. Perdevo sangue, sentivo intorno a me le urla di decine di persone che avevano visto lo schianto e cercavano i loro congiunti. Un coro assordante, disperato». Dei 23 passeggeri si salvano Cantone, la bambina e un altro minore.
Il medico arriva all’ospedale con diverse fratture, anche alle vertebre e con un profondo taglio sul collo: «Sono stato accolto con amore. Pinuccia, l’infermiera del Cuamm, che si è comportata come una mamma, il chirurgo sudanese che ha suturato la ferita, la dottoressa Lunardi che avrebbe dovuto essere il mio tutor e che ha monitorato tutto il quadro clinico per escludere complicazioni». Trasferito in elicottero a Giuba, capitale del Sud Sudan, entra in campo Giorgia del Cuamm, «che mi ha sostenuto in tutte quelle giornate e che poi mi avrebbe accompagnato all’ospedale di Nairobi». Nel frattempo in Italia donne e uomini del Disastro I resti dell’aereo precipitato nel lago di Yirol, in Sud Sudan, il 9 settembre: solo 3 superstiti su 23 a bordo Cuamm sono mobilitati: don Dante Carraro, direttore della ong, si mette in viaggio e accompagna Antonietta, la mamma di Cantone, «che ha gestito tutta la situazione tirando fuori la forza di una leonessa».
Di nuovo in Italia dal 14 settembre, Cantone ha davanti ancora una lunga riabilitazione. Le domande sono tante: «Non mi spiego ancora oggi cosa sia successo e soprattutto perché io mi sia salvato e gli altri no. Non sono credente, ma ora penso che ci sia qualcosa che lega ciò che ci capita». Le domande e una certezza: «Ho sperimentato la potenza dell’umanità, ho visto su me stesso quanto l’uomo possa essere utile al prossimo, anche in un contesto di povertà totale».
Ecco perché sente il bisogno di tornare: «Devo vederli negli occhi e ringraziarli. Devo riprendere il mio progetto e restituire l’amore e le cure che ho ricevuto».
Gratitudine
«Ora voglio tornare lì per restituire un po’ delle cure che mi hanno dedicato»