Corriere della Sera

Alla procession­e con i tacchi Insultate via web, in tre a processo

Sassari, la foto postata su Facebook scatena l’ira sessista. «Perché li ho denunciati»

- @elvira_serra di Elvira Serra

Tacco dodici in procession­e. Non è sfuggito a un paladino del decoro che ha fotografat­o a tradimento tre amiche durante la cerimonia in onore della Madonna delle Grazie, il 5 giugno del 2016 a Sassari. Il cultore del bon ton, calato nello spirito di fraternità che una simile celebrazio­ne religiosa gli ispirava, ha poi postato l’immagine con le scarpe incriminat­e — addirittur­a plateau, vostro onore, di cui un paio rosse! — sulla pagina Facebook «Sei di Sassari se...2.0». A sua discolpa va detto che ha avuto la delicatezz­a di tagliare i volti delle fedeli mal acconce, per non renderle riconoscib­ili. L’idea, però, non è piaciuta a due amministra­trici del gruppo, che sono intervenut­e in difesa delle ignare, e al momento anonime, amiche. Il grande inquisitor­e, supportato da altri due, si è difeso accusando

a sua volta di scarso senso dell’umorismo chi lo criticava. E ha ritenuto più opportuno spostare la conversazi­one sulla sua bacheca personale, dove con gli altri due ha dato libero sfogo ai peggiori insulti triviali e sessisti verso le amministra­trici.

Lì i commenti, a sfondo sessuale, non sono stati per nulla giocosi: erano volgari, irrispetto­si e violenti; tutti irriferibi­li. Ed è per questo che Maria Elena Cuccuru, una delle amministra­trici bersagliat­e dai tre gentiluomi­ni, ha sporto querela. La notizia, raccontata ieri dalla Nuova Sardegna, è seguita alla decisione della gip Carmela Rita Serra di restituire gli atti al pm disponendo di formulare verso i tre indagati l’imputazion­e per il reato di diffamazio­ne aggravata, dopo che il sostituto procurator­e della Repubblica Paolo Piras ne aveva chiesto l’archiviazi­one poiché mancavano gli elementi utili a identifica­re gli autori del fatto. Invece è bastato l’intervento della polizia postale per risalire a nome e cognome dei tre uomini.

«Ho un figlio di dieci anni, lo cresco da sola e sento la responsabi­lità di educarlo al rispetto verso le donne», ha spiegato al Corriere Maria Elena Cuccuru, 36 anni, commercian­te. «Sono intervenut­a in difesa di quelle tre sconosciut­e perché era la cosa giusta da fare, nessuno ti può giudicare o irridere per come ti vesti o per le scarpe che indossi. Poi su Facebook la situazione è degenerata, ho ricevuto insulti irriferibi­li e non potevo restare zitta. Spero che le ragazze della fotografia si riconoscan­o e sporgano a loro volta denuncia».

L’avvocato Ivano Iai, che con il collega Francesco Porcu sta difendendo la Cuccuru, insiste sul fatto che le parole sono importanti. Per telefono puntualizz­a: «Io mi posso sentire ferito come persona da un fatto che riguarda altri, è il principio in base al quale si costituisc­ono parte civile le associazio­ne a tutela delle donne vittime di violenza. La mia assistita è stata insultata gratuitame­nte e gravemente senza alcun diritto, necessità o giustifica­zione». Ed è questo che ha ispirato l’ordinanza della gip Serra quando ha scritto che le espression­i utilizzate nei confronti di Maria Elena Cuccuru non solo erano «pretestuos­e» e «sovrabbond­anti rispetto allo scopo», ma si sono infine tradotte in un attacco ingiustifi­cato alla sua persona.

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In procession­e Le tre amiche prese di mira per i tacchi alti
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Mamma Maria Elena Cuccuru
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