Corriere della Sera

Autobiogra­fia di Frida Kahlo: immagini, gioie e (molti) dolori

Graphic novel/1 La storia illustrata della pittrice firmata per Solferino dall’artista spagnola María Hesse

- di Stefano Bucci

N on sarà certo tutta colpa (o piuttosto tutto merito) di Madonna, sua grande appassiona­ta e collezioni­sta (cinque i dipinti nel «forziere» della popstar tra cui l’inquietant­e La mia nascita del 1932), se il fascino suscitato da Frida Kahlo, pittrice-icona (Coyoacán, Messico, 1907-1954) dallo stile personalis­simo «che fonde elementi surreali e naïf in atmosfere e immagini legate alla propria terra», sembra davvero non conoscere crisi. Nel 2016 per il suo Due nudi nel bosco del 1939 sono stati sborsati, da Christie’s a New York, ben 8 milioni di dollari.

La biografia illustrata firmata da María Hesse per le edizioni Solferino (Frida Kahlo. Una biografia, traduzione di Ximena Rodríguez Bradford) offre una chiave interessan­te e intrigante per arrivare dritti al cuore del «Fenomeno Kahlo». Un fenomeno che, a proposito di mostre, nel 2018 ha prodotto due grandi rassegne solo in Italia (Mudec di Milano, Palazzo Ducale di Genova) e una in corso al Victoria and Albert di Londra (Making her self up, fino al 18 novembre).

Questa graphic novel sui generis è costellata di cuori, cactus, tavolozze, fette di anguria e, già dalla «seconda di copertina», di un singolare santino di Frida Kahlo con un’iscrizione che recita Viva la vida, viva la vita. Perché Frida, pur nel corpo perennemen­te segnato dal dolore e dalla passione, è sempre rimasta attaccata alla vita e alle sue gioie. «Ogni tictac è un istante della vita che passa, fugge via e non si ripete», è scritto a pagina 36.

A illustrare il profondo amore per la vita di Frida ci sono i disegni di María Hesse (semplici, coloratiss­imi, efficaci) che mettono in fila le «cose che Frida adorava»: colleziona­re pezzi di artigianat­o messicano, i piccoli oggetti, i gioielli, gli animali, il fumare, il bere, il teatro, i mariachi, le bambole e «fare baldoria» in genere.

Dunque la sua pittura è certo «lacrime e sangue», ma anche festa e luci. Perché Frida (e dai disegni di Hesse appare in modo evidente) ha sempre scelto di vivere agli estremi, oscillando (appunto) dal colore al nero, dalla felicità alla tristezza più profonda. Una donna appassiona­ta, insomma, che non si rassegnò mai a restare nell’ombra del suo grande amore, il pittore Diego Rivera, e che combatté per realizzare tutti i sogni, uno a uno (a cominciare da quello politico marxista).

Come modelli artistici María Hesse (cognome d’arte adottato dopo aver letto il romanzo Demian di Hermann Hesse) cita l’illustratr­ice Rebecca Dautremer e il fumettista-regista Enki Bilal. Ma certo Frida resta qualcosa di più che un semplice modello: «Ho adorato l’intensità con cui viveva, nel bene e nel male». Per le illustrazi­oni, certo, ma anche per i testi, scritti «da Frida» in prima persona: «Spesso dava versioni diverse di quanto accadeva nella sua vita. Mi sono basata su alcuni fatti certi, cercando di raccontare la sua esistenza come credo che avrebbe fatto lei».

Ma è nei dipinti che abita la vera Frida. Lo dimostra la bellissima cronologia a colori che chiude il libro, una cronologia scandita dalle opere che spazia dall’autoritrat­to con vestito di velluto del 1929 a Viva la vida del 1954, ennesimo inno alla vita, nello stesso anno in cui quella di Frida si sarebbe conclusa.

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