Il talento che scelse il richiamo della provincia Un percorso nella regione per riscoprirlo
«Era attratto dalle periferie colte». Venti opere dai grandi musei e una mostra diffusa
Lotto ritorna a casa, nelle Marche. «In realtà era nato a Venezia, ma si sentiva profondamente attratto dalle periferie colte. Detestava le contraddizioni delle metropoli. Aveva bisogno di un posto che gli garantisse di lavorare in pace. Era un isolato e questo rallentò la sua carriera, relegandolo al ruolo di bizzarro pittore di provincia. Questa mostra rivaluta Lorenzo Lotto in tutta la sua grandezza e ne premia le geniali devianze».
La «devianza» del più misterioso pittore del sedicesimo secolo è nota agli esperti, ma anche il più sprovveduto dei visitatori della mostra su Lorenzo Lotto, che il curatore Enrico Maria Dal Pozzolo ci presenta al Palazzo Buonaccorsi di Macerata, nell’allestimento di Luca Schiavoni, intuisce che nelle pale e nei polittici maestosi, nei dipinti di storia sacra e pittura profana fra i più famosi della storia dell’arte, c’è qualcosa di diverso. Quel qualcosa che fa la differenza e marca l’unicità dell’irrequieto artista fra i giganti del suo tempo.
«Lorenzo Lotto. Il richiamo delle Marche» vede il pittore al centro di altri eventi espositivi, uno appena concluso al Prado di Madrid, un altro che aprirà in novembre alla National Gallery di Londra. La mostra raduna una raccolta di capolavori: 20 le opere autografe provenienti da collezioni internazionali — arrivano da Berlino i due pannelli San Cristoforo e San Sebastiano, dall’ermitage di San Pietroburgo la predella della Pala di Recanati, mentre dagli Uffizi è giunto l’appena restaurato Sacra Conversazione del 1534 — e invita al percorso diffuso tra pale e affreschi disseminati nei diversi centri e lasciati nei siti di appartenenza, premiando in tal modo i luoghi marchigiani colpiti dal sisma del 2016, da Macerata a Urbino passando per Cingoli, Jesi, Loreto, Mogliano, Monte San Giusto e Recanati.
Chi si sarebbe mai sognato di ritrarre la Vergine con squillanti abiti rossi e arancio, angeli muscolosi come gladiatori e un Dio esuberante in tunica rossa che si catapulta da un letto di nuvole per annunciare a Maria la sua presenza? Nessun altro pittore del Cinquecento ha saputo dipingere come Lotto l’incontro spaesante del divino col terreno. «Bernard Berenson, che nel 1895 scrisse la prima importante biografia del veneziano, lo definisce come “il primo pittore italiano a essere sensibile ai mutevoli stati dell’animo umano”», spiega Dal Pozzolo.
Talento precoce, a 25 anni è già famoso a Roma dove lavora per Giulio II, a Bergamo, nelle Marche e nel Veneto. Ma, a dispetto del talento, la carriera e la vita del pittore, accusato di simpatie esoteriche e connivenza col sapere alchemico, sono costellate di mille problemi e rapporti difficili. Si trova costretto ad accettare pagamenti in natura: ritratti in cambio di vino, olio e altri generi di conforto. La sua esistenza è faticosa, raminga, senza il conforto di una vera casa. Vive di ospitalità, fino a quando finisce la sua vita nella Santa Casa di Loreto.
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