Corriere della Sera

Huppert: «Sul set sfogo la mia follia»

L’attrice francese ha ricevuto il premio alla carriera: sono un esempio anche per le colleghe meno giovani Festa di Roma L’incontro con la diva: «Non difendo i miei personaggi oscuri»

- Valerio Cappelli

Impenetrab­ile e algida ROMA mica tanto. Francese fino al midollo, certo. Le dicono che è un esempio per tante giovani attrici; risponde come solo una Madame, con un battito di ciglia che per lei è già un passo enorme: «Sono un esempio anche per quelle meno giovani, mi creda». Se c’è un luogo in grado di restituire il volto di Isabelle Huppert, con i suoi capelli rossi, le lentiggini, la sua fisicità minuta e nervosa che lo schermo plasma in forme mutevoli, la sua gentilezza e la sua distanza, è Cannes. Dove ha portato una ventina di film, ha vinto due volte come attrice, è stata presidente di giuria. Lei «è» quel Festival, più di Catherine Deneuve, più di Fanny Ardant, Marion Cotillard, Juliette Binoche e le altre amazzoni del cinema d’oltralpe.

Questo non vuol dire che non sia legata alla Bell’italia. Eccola evocare, mentre ritira dalle mani di Toni Servillo il premio alla carriera alla Festa del cinema di Roma, «Bolognini, Bellocchio, Ferreri, Paolo e Vittorio Taviani che incontrai sul set di Le affinità elettive, ammirandon­e l’intelligen­za, la dolcezza, l’umanità, tanto da dimenticar­e la regia a due teste mentre giravamo sotto il sole della Toscana. Voi italiani, seppure nelle differenze, siete accomunati da un senso estetico, non parlo solo della scenografi­a, perché fate anche un cinema sociale e politico».

È nella fragilità che trova la forza di essere attrice. Nella sua carriera, la musa di Chabrol («non idealizzav­a mai i personaggi, li ritraeva in un realismo che contemplav­a anche il loro lato banale»), ha vestito di sensualità e severità donne lacerate e ambigue, sadomasoch­iste, scomode e sgradevoli.

Convive con i suoi fantasmi. E non ha paura dell’ignoto. Le piace la complessit­à. Incesti, omicidi, non si è negata nulla. Sulla sessualità che tante volte restituisc­e sullo schermo la pensa come sulla recitazion­e, lavora per sottrazion­e, sull’economia di emozioni, così come è meglio non mostrare troppo se si vuole mantenere l’attenzione. «Io i miei personaggi non li difendo, possono essere oscuri ma non cerco di renderli simpatici. E non vivo di rimpianti. Il cinema restituisc­e una parte di verità». Le piacerebbe interpreta­re donne comuni, ma sarebbe fuori ruolo. «In famiglia mi dicono che per me recitare è sfogare i miei aspetti di follia. Conosco donne che nella vita reale sono più coraggiose di me».

Ha amato molto La pianista di Haneke (che di lei in una clip dice: «È uno Stradivari, perché è in grado di fare qualunque cosa le chiedi»; e lei ricorda quando «mi fece rifare 48 volte la stessa scena»), Elle di Paul Verhoeven e prima I cancelli del cielo di Michael Cimino: «Era un iconoclast­a che rifiutava il classicism­o di Hollywood. Veniva dagli Oscar per Il cacciatore, aveva potere ma naufragò, alla prima a New York gli spettatori si alzarono e se ne andarono. Dopo 60 giorni avevo girato appena due scene. Era un film concettual­e. Quell’insuccesso lo segnò fino alla fine».

Ora su Amazon appare nella serie tv sui Romanoff: «L’idea è originale, si indaga sui loro presunti discendent­i e ci proiettiam­o nel mondo contempora­neo. Io sono una regista nervosa, personaggi­o divertente, c’è qualcosa di barocco in lei».

La definivano ghiaccio bollente, lei sbuffa ma riacquista il sorriso, è a Roma per un premio: «Mi piace, in fondo il ghiaccio bollente non esiste».

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Voi italiani, seppure nelle differenze, siete accomunati da un senso estetico. Non parlo solo della scenografi­a, perché fate anche un cinema sociale e politico

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Sorriso Isabelle Huppert, 65 anni, è fra le attrici più premiate della storia del cinema

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