Ma non è chiaro chi li deve curare
L’adolescenza è una terra di nessuno anche per l’assistenza clinica. A quattordici anni il medico di famiglia dovrebbe subentrare al pediatra ma di fatto i ragazzi restano in un limbo in cui è difficile intercettare disturbi, come spiega Gabriella Pozzobon, pediatra all’ospedale San Raffaele di Milano e presidente della Società Italiana di Medicina dell’adolescenza (Sima): «L’adolescente sfugge, non racconta eventuali sintomi. E non c’è un medico specifico che sappia gestire le tante criticità di questo periodo, né sono previsti bilanci periodici di salute come quelli dell’infanzia, che consentono anche di individuare eventuali fattori di rischio e predisporre un’adeguata prevenzione. C’è insomma da augurarsi che gli adolescenti siano e rimangano sani, perché la probabilità di non intercettare malattie che insorgono in questo periodo è concreta: anche la diagnosi di tumori, per esempio, può essere più tardiva in questa fascia d’età».
Il cancro in adolescenza è per fortuna un’evenienza abbastanza rara (sono circa un migliaio i casi ogni anno in Italia) e a quest’età ammalarsi non è frequente, ma il concetto è chiaro: il ragazzino non parla dei suoi disturbi fisici o dei disagi psicologici col pediatra, che inizia a vedere come un «emissario» dei genitori, né col medico di famiglia, spesso impreparato a gestire i giovanissimi, perché non hanno ancora un rapporto di fiducia con lui. Così, il rischio è accorgersi di un problema quando è già serio.
«Gli adolescenti si ammalano poco ma muoiono molto: tranne coloro che devono gestire una patologia cronica emersa nell’infanzia sono in genere sani, ma quando vanno incontro a guai si tratta spesso di emergenze, dalle dipendenze agli incidenti. Per questo i ragazzi non devono restare in una “zina grigia” dove nessuno li valuta o li osserva mai», interviene Roberto Marinello, pediatra di Milano. Marinello fa parte di un gruppo di lavoro della Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche che in collaborazione con l’ordine dei medici di Milano sta mettendo a punto un protocollo per il «passaggio del testimone» dai pediatri ai medici di famiglia; sarà presentato a fine anno durante il congresso Sima e per il momento è stato sperimentato su base volontaria con buoni risultati.
«L’obiettivo è un passaggio in continuità, perciò abbiamo pensato a due schede di comunicazione che il pediatra potrebbe consegnare al medico di famiglia che si occuperà del ragazzo dopo di lui — spiega Marinello —. Nella prima il pediatra raccoglie i dati salienti della storia clinica del giovane, dagli interventi chirurgici alle vaccinazioni, fino alle eventuali malattie croniche; la seconda è un questionario di valutazione psico-comportamentale che proponiamo al ragazzino intorno ai 14, 15 anni per capire se ha elementi di rischio nella condotta, chiedendogli per esempio se fuma o beve alcol, se ha rapporti sessuali, ma anche se preferisce star da solo o con gli amici».
Il risultato è un ritratto dell’adolescente che viene consegnato al medico di famiglia così che sappia chi ha davanti; il protocollo è nelle ultime fasi di progettazione e i pediatri sperano che possa fare da apripista a Milano e in Lombardia, come esempio di metodo semplice ed economico per risolvere un «buco» dell’assistenza.
«Un nodo centrale è il bilancio di salute: viene fatto ogni anno fino a tredici anni ed è prezioso per capire gli elementi di rischio e fare prevenzione. La nostra proposta è che il medico di famiglia ne faccia almeno un paio fra i quattordici e i diciotto anni», dice Marinello.