Andrea si arrampica «contro» la meningite
Ha perso gambe e dita delle mani per la malattia Ma non si è arreso. Sogna di scalare l’everest E spiega ai ragazzi l’importanza della prevenzione
Secondo i dati del Ministero della Sanità (non definitivi) in Italia nel 2017 sono stati segnalati 1.425 casi di meningite da pneumococco, 196 da meningococco e 147 da emofilo. L’incidenza della forma da meningococco è maggiore nella fascia di età 0-4 anni, in particolare nel primo anno di vita, nel quale l’incidenza supera i 4 casi per 100 mila. L’incidenza si mantiene elevata fino alla fascia 15-24 anni (0,90 casi per 100 mila) e cala poi dai 25 anni in su alle domande dei lettori sulle malattie infettive su
forumcorriere .corriere.it/ malattieinfettive
www.corriere. it/salute/ malattie_ infettive
La vita di Andrea Lanfri, toscano, 32 anni tra pochi giorni,è cambiata nel gennaio di quasi quattro anni fa. Dopo una cena al ristorante si risveglia coni piedi gelati. «Avevo freddo, stavo malissimo. Mi sono trascinato con estrema fatica da mia madre. Non riuscivo a riprendermi e le ho chiesto un massaggio ai piedi. Quando ho provato la febbre il termometro segnava 43 gradi si fosse rotto».
Il tempo di notare le petecchie sulle caviglie e capire che la situazione era grave. Dall’arrivo dell’ambulanza non c’è più nessun ricordo. Stefano entra in coma. La corsa in ospedale a Lucca, il trasferimento a Firenze e la diagnosi: meningite fulminante con sepsi meningococcica. Lui e un altro ragazzo di Firenze saranno i primi due casi di meningite che nel 2015 ha colpito diffusamente la Toscana.
Andrea trascorre molte ore tra la vita e la morte. Sono giornate di grande speranza e tanto dolore. «Stavo lentamente migliorando con le cure in camera iperbarica».
Ad aprile però riparte la setticemia, gli arti sono in necrosi. I medici non hanno scelta, per salvargli la vita devono amputargli le gambe e le dita della mano, salvando solo i pollici e parte di un indice.
La nuova vita di Andrea riparte da qui, dal suo coraggio, dalla sua tenacia e dalla sua grande forza di volontà. Non si arrende e il suo primo pensiero è recuperare il tempo perduto e abituarsi al suo nuovo corpo. Non abbandona le sue passioni: l’atletica e la montagna. Entra nella nazionale paralimpica. Con le sue lamine da corsa batte tutti i record italiani nei 100, 200 e 400 metri e conquista medaglie d’argento e di bronzo agli Europei e ai Mondiali.
E soprattutto torna a scalare con le sue nuove gambe, con scarpette speciali montate sulle protesi. Andrea entra come testimonial nel progetto di ricerca «One project research», uno studio sulla possibilità di contrastare i malesseri collegati all’attività di montagna grazie a tecniche respiratorie specifiche.
Nel luglio scorso arriva in cima al Monte Rosa (4.556 metri). Un percorso non semplice, al bivacco Giordano in molti mollano. Non lui, che prosegue senza rallentamenti, seguendo la tabella di marcia fatta di 200 metri all’ora di dislivello con una sosta di un’ora ogni tre di salita, per fare abituare il corpo all’altitudine.
A metà settembre Andrea incorona un altro sogno che aveva fin da bambino: scala la Cima Grande delle Tre Cime di Lavaredo (2999 metri). «È stato impegnativo perché bisogna rimanere molto sospesi e con poche protezioni. In parete posso tirarmi su soprattutto coi pollici, a volte salgo a mano aperta e dò molta fiducia ai miei “piedi”. La mia è un’arrampicata molto psicologica». Con lui in cima ci sono gli amici si sempre i «Malati di Roccia» e la fidanzata Natascia, conosciuta un anno fa durante le arrampicate in montagna. Ora Andrea si sta preparando per la prossima scalata in programma a gennaio, il Chimborazo in Equador (6310 m), e già sogna l’everest per maggio, anche se la spedizione è molto costosa e per ora i finanziamenti non bastano.
La vita di Andrea è una storia di riscatto, di riconquista. Ma il dolore e la paura dei mesi trascorsi in ospedale non potranno mai essere dimenticati. «Io ho perso gli arti perché non ero vaccinato — ricorda Andrea —. Forse con il vaccino mi sarei ammalato lo stesso, ma in modo meno devastante. Ho sofferto, ho lottato e sono stato fortunato perché sono ancora vivo. Molti altri non ce l’hanno fatta. All’epoca non sapevo che cosa fosse la meningite e non avevo idea dell’esistenza del vaccino».
Oggi, con tutta la sua grinta, Andrea viene chiamato dalle scuole per raccontare la sua storia e si batte a favore dei vaccini. «A volte sono attaccato e minacciato dai no-vax. Non auguro a nessuno quello che ho passato io, ma a chi è contro i vaccini vorrei far vivere un solo mese di quelli che ho passato perché solo così si può capire davvero il mostro che è la meningite. Io dico a tutti i ragazzi: vaccinatevi! Non vale la pena aver paura delle conseguenze di una punturina se si rischia quello che è successo a me. Io ho reagito, ho ripreso in mano la mia vita, ma non dimentico per un istante che le mie gambe e le mie dita ormai non me le ridarà nessuno».
Ma che cosa sanno gli italiani oggi della meningite? Secondo un’indagine demoscopica su 2000 genitori condotta da Elma Research dal 2015 è cresciuta la percezione del problema , anche se solo il 35% si sente davvero informato, mentre il 49% dichiara di averne solo sentito parlare. Emerge che la meningite da meningococco è una patologia che spaventa ed è percepita come distruttiva e devastante. L’82% degli intervistati la ritiene molto grave, il 68% ne ha molta paura. Tra i genitori «che ne sanno» l’86%è al corrente che viene colpito il cervello, il 70% che il contagio avviene principalmente per via aerea, il 73% che la malattia può essere mortale e la maggior parte degli intervistati sa quali sono i due principali sintomi (febbre e mal di testa). Tuttavia la conoscenza sembra fermarsi a un livello superficiale. Altri importanti sintomi della malattia non sono noti a
Il racconto
L’atleta sottolinea che non sapeva neppure che esistesse un vaccino
molti, così come qual è la popolazione più esposta al rischio e quali sono i ceppi di meningococco responsabili del contagio. I genitori italiani si pongono tendenzialmente in modo positivo verso i vaccini ma ancora il 38% ha paura delle conseguenze, il 29% pensa che i vaccini richiesti siano troppi e il 28% è convinto che siano solo un business per le aziende farmaceutiche.