Corriere della Sera

«I clan nigeriani la quinta mafia»

Le indagini dei pm da Torino a Palermo. Li chiamano «cult» e hanno legami con i clan di Ballarò

- di Goffredo Buccini

Non sarà ancora controllo del territorio. Ma l’agguato dello scorso settembre ai giardini Alimonda di Torino contro due poliziotti antidroga circondati e pestati da una trentina di spacciator­i africani ci va molto vicino. Siamo tra Aurora e Barriera di Milano, accanto a quel corso Giulio Cesare così multietnic­o che gli ultimi bottegai locali espongono in vetrina il cartello «negozio italiano». La mafia nigeriana comanda qui: e non solo qui.

«Ho fatto tre informativ­e a tre procure diverse, Roma, Bologna e Palermo, interessat­e al fenomeno che si sta espandendo a macchia d’olio in tutta Italia e tutta Europa», ha detto alla Commission­e parlamenta­re sulle periferie il commissari­o della municipale Fabrizio Lotito, che ha lavorato con la procura torinese. Gerarchia, riti d’iniziazion­e, cosche chiamate «cult»: «Torino è la città con il maggior numero di immigrati nigeriani, a ruota segue l’emilia-romagna. Le nostre indagini su questo fenomeno mafioso vedono come attori principali i “cult” nigeriani, nati nelle università nigeriane degli anni Sessanta, poi evolutisi fuori e giunti anche in Italia: hanno struttura verticisti­ca e dalle indagini abbiamo potuto ascrivere il 416 bis, l’associazio­ne mafiosa».

Le vittime

Black Axe, Maphite, Supreme Eiye Confratern­ity, Ayee sono nomi di «cult» che riempiono ormai da anni le nostre cronache; collegando­li come puntini su un foglio mostrerebb­ero forse un disegno più ampio, imbarazzan­te per un malinteso senso di correttezz­a politica: dibattere pubblicame­nte sui mafiosi nigeriani offre argomenti ai razzisti nostrani? È vero il contrario, perché le prime vittime dei «don» (i capi cultisti) sono ragazze nigeriane vendute come schiave sulla Domiziana e giovani nigeriani (i «baseball cap») ridotti a elemosinar­e davanti ai bar di Roma o di Milano per ripagare debiti di famiglia contratti in Nigeria.

Da Nord a Sud d’italia s’avanza così la quinta mafia (dopo Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e Sacra corona pugliese) con i suoi traffici milionari di cocaina dalla Colombia al Canada, la nuova eroina «gialla» spacciata nel nostro Nord-est e i capi dei capi da sempre insediati a Benin City, che resta la casa madre e sta ai «cult» come San Luca sta alle ‘ndrine. Tecnici e puristi diranno che le mafie da noi sono troppe per farne una classifica, dalla russa all’albanese, dalla cinese alla multiforme mafia romana. Proprio il commissari­o Lotito lamenta inoltre che la mafia nigeriana sia vista «più come un problema di ordine pubblico». Un errore di valutazion­e, perché nessuna nuova mafia ha la sua pervasivit­à: mille affiliati stimati in Italia (su circa 93 mila nigeriani immigrati), almeno venti città (Torino e Bologna in testa) e dieci regioni coinvolte nella sua rete che conta in giro per il mondo trentamila affiliati in quaranta Stati.

Da Benin City a Palermo

In Italia i mafiosi nigeriani hanno imparato a muoversi strategica­mente. Famosa è un’intercetta­zione in carcere tra due mafiosi del clan Di Giacomo sui boss di Ballarò, centro di Palermo. «Lì ci sono i turchi» (intendendo persone di colore). «Quali?». «I nigeriani... ma sono rispettosi e poi... immagazzin­ano» (frase che per gli investigat­ori avrebbe un senso preciso: i «rispettosi» nigeriani di Black Axe detengono grandi partite di droga in accordo con Cosa Nostra).

Al Sud dove le mafie autoctone mantengono il controllo militare, la mafia venuta da Benin City cerca patti, come a Ballarò. Al Nord picchia duro: nel 2017, su 12.387 reati firmati dalla criminalit­à nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi), 8.594 avvengono al Nord, 1.675 al Centro, 1.434 al Sud, 684 nelle Isole.

Torino è teatro dell’operazione Athenaeum dei carabinier­i che fotografa il legame tra Maphite e Eiye. Giovanni Falconieri sul Corriere di Torino ha raccontato di un pentito che descrive i Maphite in termini sconvolgen­ti: «Sono sbarcati a Lampedusa e la gente ha paura di loro... Non hanno rispetto per la vita, hanno già sofferto troppo per arrivare in Italia». Il tema degli sbarchi inquinati dalla mafia di Benin City ormai emerge. Il giudice torinese Stefano Sala, in quasi 700 pagine di ordinanza, motiva le sentenze su 21 membri di Eiye e Maphite, e accende un faro: «I moduli operativi delle associazio­ni criminali nigeriane sono stati trasferiti in Italia in coincidenz­a con i flussi migratori massivi cui assistiamo in questi anni» (...), «tra gli immigrati appena sbarcati vengono reclutati i corrieri che ingoiano cocaina».

Il racconto del pentito Gli affiliati al «cult» dei Maphite sono sbarcati a Lampedusa e la gente ha paura di loro... Non hanno rispetto per la vita, hanno già sofferto troppo per arrivare in Italia

Lo stipendio dei capi

Un «don», il capo della struttura locale, può ricevere uno stipendio di 35 mila euro ogni tre mesi. L’entità territoria­le minore è la «zona», crescendo si sale al «temple» fino al «murder temple» di Benin City dove si elabora la strategia politica. Sembrano i primi verbali di Buscetta risciacqua­ti nella globalizza­zione.

Se Torino è la nostra città più permeata dalla migrazione nigeriana, Bologna è considerat­a «la capitale» del cultismo, lo spaccio nella centrale Bolognina e nelle periferie è da anni in mano ai Black Axe. Ma le ordinanze che si moltiplica­no, con le operazioni di carabinier­i e polizia, descrivono un’onda assai più lunga: Black Axe, a Palermo, 2016, sul gruppo di Ballarò; Aquile Nere, Caserta, stesso anno. Cults, a Roma, 2014. Niger, Torino 2005. Ancora Black Axe, Castello di Cisterna, Napoli, 2011.

Le schiave

«Noi siamo nate morte», raccontano le schiave nigeriane della Domiziana al sociologo Leonardo Palmisano in un libro prossimo all’uscita, «Ascia Nera». Sono «asce nere», «Black Axe», i mafiosi che promettono la morte a Palmisano, troppo ostinato nell’indagarne i traffici. I ragazzi venuti da Benin City si sentono ormai abbastanza forti per quest’ultimo, minaccioso passo. Molta acqua è passata da questo allarme del 2011: «Vorrei attirare la vostra attenzione sulla nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenen­ti a sette segrete... riusciti a entrare in Italia principalm­ente con scopi criminali». Non il delirio di un balordo xenofobo ma l’informativ­a dell’ambasciato­re nigeriano a Roma.

 ?? (foto di Francesco Bellina) ?? Controllo del territorio Sopra, Ballarò: il quartiere di Palermo è una delle aree urbane italiane in cui la mafia nigeriana ha stretto patti con la malavita organizzat­a autoctona. Il cult (così in gergo si chiamano le cosche) dei «Black Axe» controlla (a sinistra) grandi quantità di droga
(foto di Francesco Bellina) Controllo del territorio Sopra, Ballarò: il quartiere di Palermo è una delle aree urbane italiane in cui la mafia nigeriana ha stretto patti con la malavita organizzat­a autoctona. Il cult (così in gergo si chiamano le cosche) dei «Black Axe» controlla (a sinistra) grandi quantità di droga
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