Corriere della Sera

Romanov, l’inferno in cantina

Nel 1918 fu uccisa la famiglia imperiale. Storici e scrittori chiedono un processo

- Di Gian Antonio Stella

«I mputato Yakov Yurovskij, alzatevi!». Davanti all’ordine del presidente del tribunale, il compagno Yurovskij non si alzerà mai: è morto da decenni. E così Pavel Medvedev e gli altri uomini che presero parte un secolo fa, nel 1918, allo sterminio della famiglia dello zar Nicola II.

Anche gli scrittori, intellettu­ali, periti, storici russi che hanno appena inviato una lettera aperta a Vladimir Putin chiedendo di trascinare davanti a una corte di giustizia mandanti e autori della carneficin­a sanno benissimo che nessuno si presenterà in aula. Ovvio. Lo stesso papa Stefano VI, quando nell’897 processò il suo predecesso­re papa Formoso reo d’esser filogerman­ico, sapeva bene che era morto. Ma l’odio e la volontà politica d’un pubblico processo al «todesco» ebbero la meglio: «Il cadavere del Pontefice strappato al sepolcro in cui riposava da mesi — scrive Gregoroviu­s — fu abbigliato coi paramenti papali e messo a sedere su un trono. (…) Allora il Papa vivente chiese al morto con furia dissennata: “Come hai potuto, per la tua folle ambizione, usurpare il seggio apostolico?”». Dopo la condanna, «i paramenti furono strappati di dosso alla mummia; le tre dita della mano destra con cui i Latini impartisco­no la benedizion­e furono recise e con urla selvagge il cadavere fu trascinato via per le strade di Roma e gettato infine nel Tevere».

Ferocia impunita. Come feroci e impuniti furono un millennio più tardi gli uomini a cui Lenin affidò la strage della famiglia imperiale la notte tra il 16 e il 17 luglio 1918: «I Romanov vennero svegliati con l’ordine di prepararsi a partire immediatam­ente. Fu loro spiegato che si era creata una situazione di incertezza e che quindi bisognava raggiunger­e un luogo più sicuro — racconta Fabrizio Dragosei nel nuovo libro La Rivoluzion­e russa e la fine dei Romanov (Mursia) —. La zarina e le figlie indossaron­o di nascosto le sottovesti all’interno delle quali avevano pazienteme­nte cucito durante la prigionia chili e chili di pietre preziose che avrebbero dovuto essere utili in caso di fuga ed esilio. Così, in realtà, si ritrovaron­o a indossare delle specie di corsetti antiproiet­tile che complicaro­no non poco le cose per gli assassini. La famiglia fu radunata nella cantina che Yurovskij aveva già ispezionat­o. (…) Dopo che lo zar e la moglie furono sistemati su due sedie portate all’ultimo minuto, Yurovskij annunciò con concitazio­ne che “il soviet dei lavoratori” aveva deciso di giustiziar­li. Nicola, preso alla sprovvista, fece appena in tempo a chiedere “Cosa?” quando fu raggiunto da un colpo sparato dallo stesso Yurovskij. I soldati aprirono il fuoco a loro volta, riempiendo la stanza di fumo, di frastuono e ferendosi anche tra di loro. Lo zar, la zarina e la figlia maggiore Olga morirono all’istante, così come il dottor Botkin, il cuoco Kharitonov e il valletto Trupp. Una nuova salva di colpi uccise la principess­a Tatiana e ferì gravemente il piccolo Aleksej. Maria e Anastasia erano ferite solo leggerment­e, grazie alle loro sottovesti. La cameriera Demidova era stata protetta da un cuscino pieno di gemme che teneva in grembo. Gli esecutori si avvicinaro­no, sparando nuovamente e usando le baionette».

Pavel Medvedev, che rivendiche­rà d’aver sparato lui il primo colpo a Nicola II, aggiungerà nelle memorie che, nell’inferno di fumo e pallottole, «credette di vedere “un cuscino bianco che si muoveva dalla porta verso il lato destro della stanza”. Probabilme­nte si trattava del povero barboncino dei Romanov che correva pazzo di terrore…».

Che senso c’è, oggi, a fare quel processo che, scrive Dragosei, non riuscì nel febbraio 1919 al giudice istruttore Nikolaj Sokolov che, dopo la conquista di Ekaterinbu­rg da parte dell’armata bianca (e prima della riconquist­a sovietica), condusse un’inchiesta sull’eccidio, riuscendo a trovare «brandelli degli abiti, l’anello di zaffiro dello zar, gli occhiali e la dentiera del dottor Botkin?».

Il punto è che «per decenni tutta la questione dell’assassinio della famiglia imperiale venne tenuta segreta». Di più: per spazzare via i tentativi di qualche storico di ricostruir­e un giorno l’eccidio negato (la prima versione fu infatti che «a seguito della scoperta di un complotto delle guardie bianche volto a rapire l’ex zar e la famiglia, il soviet di Ekaterinbu­rg aveva ordinato l’esecuzione di Nicola Romanov» e che «la famiglia era stata spostata in un posto sicuro») Yurij Andropov, capo del Kgb, ordinò nel 1975 la demolizion­e della villa del massacro. Ordine eseguito (scherzi della storia) dall’uomo che solo tre lustri dopo avrebbe messo al bando il Partito comunista e sciolto l’urss: Boris Eltsin.

Fatto è che «il luogo della sepoltura venne scoperto da uno storico dilettante locale, Aleksandr Avdonin» nel 1979, ma «solo dopo il 1991 e lo scioglimen­to dell’urss, le salme furono dissotterr­ate e si poté avviare la procedura per il loro riconoscim­ento, grazie anche alla comparazio­ne del Dna con quello fornito da alcuni esponenti di case reali europee (compreso il principe d’edimburgo, imparentat­o direttamen­te con Nicola II)».

Quel riconoscim­ento delle salme però, sancito dalla traslazion­e dei poveri resti nella chiesa di Pietro e Paolo a San Pietroburg­o, non è mai stato ufficialme­nte avvalorato né dal patriarca Aleksij II né dal suo attuale successore, Kirill. Tanto che nel luglio scorso, anniversar­io del massacro, Kirill «ha guidato centomila fedeli in procession­e da Ekaterinbu­rg alla foresta dove i corpi vennero sepolti. Sull’identifica­zione, però, niente». Anzi, il metropolit­a Tikhon Shevkunov ha spiegato che «l’indagine in quanto tale non è ancora terminata e, in aggiunta ai test genetici, numerosi altri studi ancora aspettano di essere completati»…

E qui torniamo alla lettera a Putin per chiedere un processo a Lenin e agli esecutori del delitto. Firmato per primo dall’oligarca Vasilij Bojko (famoso per aver imposto anni fa la catechesi nei suoi stabilimen­ti) e ispirato a quanto pare dal potentissi­mo padre Tikhon, «il confessore di Putin», l’appello ricorda al presidente russo che «è necessario che nell’investigar­e un affare così complesso come l’assassinio della famiglia dello zar coincidano i risultati di tutte le perizie: genetica, storica, antropolog­ica, stomatolog­ica e altre». Infatti «secondo i codici giudiziari russi solo il giudice di tribunale può emettere la sentenza definitiva sulla parentela tra singole persone». Conclusion­e: la Duma «dovrebbe varare una legge speciale su un’indagine globale al cui termine svolgere un processo agli assassini e mandanti (sia pure defunti)».

Solo un interesse storico? Mah… Dio non voglia che ci sia di più. Nella scia di secoli di ostilità verso gli ebrei (in Russia furono fabbricati i falsi Protocolli dei Savi di Sion e lo stesso Nicola II, scrive Dragosei, pensava d’esser vittima d’un «complotto giudaico») perfino il vescovo Tikhon si è spinto infatti a dire: «Vagliamo molto seriamente la versione dell’uccisione rituale. Una notevole parte della commission­e istituita dalla Chiesa non ha dubbi che l’assassinio sia stato rituale». Travolto dalle reazioni della comunità ebraica, è vero, ha poi precisato che lui, per carità, non intendeva… Però la malizia è rimasta lì. In sospeso…

Segreti

Yurij Andropov, capo del Kgb, nel 1975 fece demolire la villa del massacro. Nel 1991 le salme furono dissotterr­ate

L’appello

È stato firmato per primo dall’oligarca Vasilij Bojko e ispirato, pare, dal potente padre Tikhon, «confessore di Putin»

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 ??  ?? AnalisiIl saggio di Luca Tentoni si intitola Capitali regionali. Le elezioni politiche nei capoluoghi di regione 19462018 ed è pubblicato dal Mulino (pagine 298, € 25)
AnalisiIl saggio di Luca Tentoni si intitola Capitali regionali. Le elezioni politiche nei capoluoghi di regione 19462018 ed è pubblicato dal Mulino (pagine 298, € 25)

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