L’AZZARDO INEFFICACE
«Il posto dell’italia è in Europa e nell’area euro». Così chiude la lettera inviata dal ministro dell’economia Giovanni Tria alla Commissione europea. È una conclusione opportuna perché — malgrado i toni volti ad incoraggiare un «dialogo costruttivo e leale» — la lettera del ministro non offre in realtà solidi appigli alla prosecuzione di tale dialogo.
Ai rilievi sollevati da Bruxelles sull’eccessivo aumento di spesa pubblica e sulla corposa deviazione dell’obiettivo di deficit strutturale contenuti nel Documento di bilancio la risposta della lettera è sbrigativa. L’aumento di spesa pubblica(+2,7% per il 2019, in luogo dello 0,1 raccomandato dall’europa) è — si dice — dettato dal mancato ritorno del Pil dell’italia ai livelli pre-crisi e dall’esigenza di proteggere le parti più svantaggiate della popolazione. Lo scostamento dagli obiettivi di deficit strutturale (salirà di 0,8 punti, anziché calare di 0,4) su cui l’esecutivo si era impegnato di fronte a tutti gli altri capi di Stato europei durante l’estate è rinviato al 2022, praticamente alle calende greche.
Il mancato rispetto degli impegni è fatto in nome e per conto della necessità di rimettere l’economia italiana su un solido sentiero di crescita che manca da troppo tempo. Ma la ricetta per crescere che esce dal primo bilancio gialloverde prende la spesa pubblica come architrave dello sviluppo. Intendiamoci: si può e si deve rispondere al disagio sociale. Per farlo l’esecutivo ha messo da parte 6,7 miliardi per dare un reddito o una pensione minima di 780 euro al mese a chi non lavora, a chi guadagna poco, a chi non fa la dichiarazione dei redditi e agli anziani che non hanno messo da parte abbastanza. Sono meccanismi di assistenza che alimentano l’aspettativa — difficile da sradicare un domani — di ricevere redditi dallo Stato in cambio di niente. E chissà come si farà a escludere dallo stesso sostegno i lavoratori oggi precari che domani potrebbero decidere di nascondersi nell’informale in modo da godere per intero l’assegno di cittadinanza. Altrettante risorse sono state destinate all’anticipo dell’età pensionabile che riscrive la legge Fornero andando contro i trend demografici. E anche quando la manovra parla di investimenti, è all’investimento pubblico che si pensa, destinatario di 3,5 miliardi per opere che per essere riavviate richiedono una lista di rivisitazioni regolatorie e di provvedimenti legislativi: una lista tanto lunga che riesce difficile pensare di farci conto per una salutare e rapida frustata all’economia.
Con tutte queste risorse destinate ad assistenza, previdenza e investimenti pubblici, a incentivare l’occupazione e gli investimenti privati rimangono briciole. Ad esempio, della flat tax al 15 per cento per famiglie e imprese orgogliosamente sbandierata in campagna elettorale, rimane letteralmente solo un centesimo: anziché i 50 miliardi stimati in precedenza nella manovra di miliardi se ne trovano solo 0,5, appunto un centesimo di quanto stimato. Sono risorse sufficienti per estendere il regime forfettario di tassazione alle piccole imprese sotto i 65 mila euro di fatturato. E comunque più che compensate da aumenti di imposte sulle al-
Meccanismi rischiosi L’assistenza alimenta l’aspettativa di ricevere redditi dallo Stato in cambio di niente
Conseguenze rapide Misureremo gli esiti della scommessa nelle prossime settimane, non nell’arco di mesi
tre imprese e su banche e assicurazioni che — ricordiamocelo — sono imprese anche loro.
In definitiva, pur collocando l’italia nell’europa e nell’euro, il governo sembra legare tale permanenza all’assunto che la Commissione non impiccherà l’italia — un Paese che dichiara di voler mantenere il suo deficit ben al di sotto della soglia del 3 per cento — all’apertura di una procedura sanzionatoria in un anno elettorale. È una scommessa rischiosa di cui misureremo gli esiti già nei prossimi giorni e settimane, non nell’arco dei mesi ottimisticamente auspicati nella lettera partita dai palazzi di via XX Settembre.