I LUTTI, IL PONTE GLI INSULTI ONLINE L’ANNO ORRIBILE
«Anche i ricchi piangono. Ma no, questi non piangono, faranno un cenone». Traboccano di odio, i commenti online sulla morte di Gilberto Benetton. Un odio totale. Feroce. Insanabile. Suggello finale al ribaltamento, in pochi mesi, di una storia imprenditoriale, familiare e umana di cui per anni era andata fiera l’italia. E più ancora il Nordest, il Veneto, Treviso.
«Se ne va un grande trevigiano, esponente di una famiglia di imprenditori che è diventata il simbolo stesso dell’imprenditoria “made in Veneto”», ha detto Luca Zaia, il governatore del Veneto, «la famiglia Benetton (...) ha rappresentato un modo diverso e nuovo di fare impresa» e «Gilberto è stato il primo artefice del gruppo di Ponzano, il braccio finanziario della famiglia, l’appassionato sportivo diventato il mecenate delle squadre della Marca, dal rugby al volley al basket...». Parole di omaggio che fino a poco più di due mesi fa, quel primo pomeriggio in cui il Ponte Morandi piombò nel vuoto sotto un nubifragio, sarebbero state condivise e pronunciate un po’ da tutti, nelle terre che hanno visto «el miracolo dei schei» ma che oggi sembrano perfino coraggiose, in bocca a un politico, nel melmoso ribollire online di insulti, invettive, rancore...
«So’ state le maledizioni di ponte de Genova, speriamo che funzionino per tutta la stirpe», scrive Maurizio Anselmo. «Finalmente lo scrivete subito il cognome, quando successe il ponte Morandi ci avete messo giorni prima di scrivere Benetton». «Fantastico! Spero che abbia sofferto. Adesso tocca alla sua schiatta infernale di parassiti». «Ogni tanto muore pure uno di questi dannati scrocconi. Benetton, famiglia di oligarchi italiani che hanno lucrato con le privatizzazioni farlocche...». «Pago da bere», scrive Ferdinando. E via così. Un travaso, un diluvio, un mare di fiele.
La magistratura dovrà dire cos’è successo, a Genova, al Viadotto Polcevera. Come mai quell’opera che era un vanto architettonico della città abbia ceduto uccidendo 43 persone e seminando tanta sofferenza, tanto dolore... E già è chiaro, giorno dopo giorno, a mano a mano che escono documenti criptati, sms cancellati, verbali depositati sotto veli di polvere, che esistono responsabilità enormi. Di Società Autostrade? Dei manager del gruppo? Della famiglia? Personali, così come la legge pretende siano le colpe: sempre e solo «personali»? La magistratura sta lavorando. E chi ha sbagliato, fosse pure solo per avere sottovalutato i rischi, deve pagare. Deve.
Il linciaggio degli sciacalli in Rete però è un’altra storia. «La pietà è la legge principale, forse l’unica vera legge dell’esistenza umana», ha scritto Fëdor Dostoevskij. Macché. Zero. E certo non poteva avviarsi peggio di così verso la fine questo 2018, Annus Horribilis della famiglia del vecchio Leone Benetton, morto povero, dopo aver girato per anni la Libia come camionista e aver fatto mille mestieri tra i quali il noleggiatore di biciclette, quando Luciano, il più anziano dei figli, aveva solo dieci anni.
Il primo ad andarsene, ai primi di febbraio, durante una vacanza con la moglie in Argentina, fu Fioravante Bertagnin, il marito di Giuliana Benetton, che fu nei primi anni sessanta, col fratello Luciano, l’anima dell’impresa nascente di famiglia: «Cominciai a lavorare a undici anni, a quattordici ero caporeparto e avevo sotto di me una dozzina di ragazze. In casa c’era biso- gno di soldi. Per guadagnare di più facevo due turni, cominciavo alle sei di mattina e finivo alle dieci di sera». Un caterpillar dagli occhi celesti. «La sera veniva a prendermi il Luciano in bicicletta. Un giorno fa: “Ma se sei così brava perché devi far arricchire gli altri? Perché non ci proviamo noi?”. Così cominciò, la storia. Ero sempre alla macchina da maglieria. Anche il Fioravante l’ho conosciuto lì, al lavoro. Dove, sennò?».
Il secondo a morire, a metà luglio, fu il più giovane dei quattro fratelli, Carlo. Aveva settantaquattro anni, era forse il meno famoso e per la famiglia, come ricordò «La Tribuna», si occupava delle grandi tenute del gruppo in Argentina, curava l’approvvigionamento delle materie prime e si occupava delle Tenute Maccarese, nel Lazio, una delle più importanti aziende agricole nazionali, di cui era presidente.
Gilberto, l’«anima finanziaria del gruppo», l’uomo che «teneva la cassaforte della famiglia e tesseva i rapporti con i salotti della finanza e con il potere nei palazzi romani», come spiega Giorgio Dell’arti nella biografia su cinquantamila.it, era «quello che ha studiato di più in famiglia. E ho smesso a 14 anni». Ne sorrideva: «Quello
La sua riservatezza, la sua passione per le sfide e la sua ambizione di crescita globale ci hanno accompagnato e guidato nei tanti anni di lavoro comune Fabio Cerchiai e Giovanni Castellucci Presidente e amministratore delegato di Atlantia
Quello che mi spiace è che mi danno del finanziere Ma io non sono un esperto di finanza, anche se fin da ragazzo i miei fratelli mi hanno incaricato di gestire i risparmi
che mi spiace è che mi danno del finanziere perché mi occupo delle attività diversificate. Ma io non sono un esperto di finanza, anche se fin da ragazzo i miei fratelli mi hanno incaricato di gestire i risparmi».
Dopo il disastro del ponte Morandi, sotto la grandinata di accuse, denunce, offese, veleni rovesciati addosso a chi a lungo aveva goduto al contrario della fama di una famiglia di imprenditori aperti, illuminati, sorridenti, pronti a schierarsi con le loro campagne pubblicitarie contro il razzismo, fu lui a prender la parola, in una intervista al nostro Daniele Manca, per cercare di spiegare come mai la famiglia avesse preferito chiudersi nel silenzio dopo l’ecatombe di Ferragosto a Genova: «Dalle nostre parti il silenzio è considerato segno di rispetto. Edizione, la nostra holding, ha parlato meno di 48 ore dopo la tragedia, a voce bassa è vero, perché la discrezione fa parte della nostra cultura. Ha però comunicato con parole chiare e inequivocabili un pensiero di cordoglio alle famiglie delle vittime e la vicinanza ai feriti e a tutti coloro che sono stati coinvolti in questo disastro».
Riservato, estraneo ai chiacchiericci salottieri, era uno degli uomini più ricchi e forse più potenti dell’imprenditoria italiana eppure Wikipedia, alle otto e mezzo di ieri sera, prima che il web si riempisse di biografie, qualche parola di rispetto e molte di odio, pubblicava su di lui solo sette righe. Solo sette righe.