Corriere della Sera

Così il centrosini­stra ha fatto harakiri in quattro mosse E M5S resta ai margini

- di Marco Imarisio

Come suicidarsi per l’ennesima volta, in quattro semplici mosse. I festeggiam­enti dei militanti leghisti al bar Città di piazza Battisti, proprio davanti alla loro sede cittadina, segnano davvero uno spartiacqu­e. Mai prima d’ora nella sua storia il Trentino era andato a una coalizione di centrodest­ra. I numeri attribuisc­ono al partito di Matteo Salvini un risultato (27,1%) simile a quello delle elezioni politiche (26,7%), ma di molto superiore al 6,2% delle ultime provincial­i. Il Movimento 5 Stelle è sceso dal 23,8% della scorsa primavera al 7,2%, a conferma di una storica difficoltà nelle consultazi­oni locali. Al resto ci hanno pensato il Partito democratic­o e il centrosini­stra autonomist­a.

1) Il cappotto dello scorso 4 marzo, un 6-0 a favore del centrodest­ra anch’esso inedito, venne letto come un segno di sfiducia nei confronti del presidente uscente, Ugo Rossi, vincitore di misura nel 2013 delle primarie per conto del Patt, l’alleato autonomist­a dei democratic­i. Il diretto interessat­o fa subito sapere che si ricandider­à comunque. Correndo da solo, ha preso il 12,4%.

2) La situazione è drammatica, ma non urgente. Con calma, alla fine delle vacanze, il 18 agosto, l’assemblea del Partito democratic­o trentino si raduna per bocciare l’idea del Rossi-bis. L’intervento di Matteo Ricci, responsabi­le nazionale degli Enti locali, che definisce «una follia» la fine dell’alleanza con gli autonomist­i, scivola come acqua sulla roccia. Con 25 «no» contro 22 «sì», passa la mozione che chiede «un segno di radicale discontinu­ità con il passato». Il segretario provincial­e Giuliano Muzio, contrario alla dismission­e del presidente, si dimette, ma viene invitato a restare, perché di questioni aperte ce ne sono fin troppe.

3) Passano altre tre settimane. Dopo un’ultima, amichevole discussion­e durata solo 13 ore, nella notte del 7 settembre, vengono esclusi per par condicio sia il giornalist­a Paolo Ghezzi, candidato di Futura 2018, sigla che raggruppa Mdp, Verdi e movimenti del territorio, che l’ex assessore provincial­e Carlo Daldoss dei Civici, tornato al tavolo della coalizione e per questo sconfessat­o dalla sua lista, che infine deciderà di ritirarsi del tutto dalla competizio­ne.

4) In zona Cesarini, quando manca un mese e qualche spicciolo alle elezioni, «il segno di radicale discontinu­ità» viene individuat­o in Giorgio Tonini, senatore per quattro legislatur­e, fondatore nel 1993 dei Cristiano sociali, nati come scissione dalla Democrazia cristiana, poi confluiti nei Ds e nel Pd. A quel punto, il nome dell’ex fedelissim­o di Walter Veltroni transitato in seguito per simpatie renziane, è l’unico che per la sua storia personale può tenere insieme i brandelli dell’alleanza. Lui accetta, più per spirito di bandiera che per reale convinzion­e.

L’atto finale della campagna elettorale è avvenuto nel chiuso di una saletta al pianterren­o della sede provincial­e del Partito democratic­o. L’ospite d’onore era Marco Minniti, ex ministro dell’interno. C’era il timore di contestazi­oni, anche da parte degli alleati. Matteo Salvini intanto faceva un bagno di folla al Parco delle Albere. Come tutte le altre volte, la fine è nota.

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