Decreto Salvini Il tribunale circoscrive gli effetti
Primo provvedimento giudiziario a Milano sul «decreto sicurezza», e già si intuisce che, per una dimenticanza, il pacchetto del ministro dell’interno Matteo Salvini — in tema di domande di protezione internazionale presentate da migranti, e in particolare di «permessi umanitari» —, non produrrà la sforbiciata immaginata. Colpa della mancanza (per svista o per scelta, comunque per assenza nel testo in vigore dal 5 ottobre) di una norma transitoria sulle questioni intertemporali, che cioè dica quali regole (le nuove del decreto Salvini o ancora le vecchie) i Tribunali dovrebbero applicare alle centinaia di migliaia di ricorsi pendenti al 5 ottobre perché già proposti contro rigetti pronunciati in via amministrativa dalle Commissioni Territoriali. Nel 2017 su 81.527 domande d’asilo esaminate ne sono state accolte 33.873, di cui appunto 20.166 protezioni umanitarie, molte più dei 6.827 status di rifugiato e delle 6.880 protezioni sussidiarie: il Viminale, ravvisando una eccessiva manica larga dei magistrati nel concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari, con il decreto del 5 ottobre puntava a «delimitare l’ambito di esercizio di tale discrezionalità» a tre soli casi (calamità, atti di particolare valore civile, e eccezionale gravità di salute). Ma ora la sezione immigrazione del Tribunale di Milano, con orientamento unanime espresso per la prima volta da un provvedimento redatto dalla giudice Maria Cristina Contini, osserva che il decreto, nel cambiare le regole del procedimento, incide però radicalmente sullo status, e perciò ha «carattere sostanziale» (valido solo per i nuovi futuri casi), e non processuale (che varrebbe già nei processi in corso). E poiché «manca una norma transitoria per le domande pendenti all’entrata in vigore del decreto», in base all’ordinaria bussola delle «preleggi» le nuove regole «non trovano applicazione ai processi in corso». Significa che il decreto Salvini, vista la riduzione degli arrivi in Italia, si applicherebbe agli ormai pochi ricorsi post 5 ottobre 2018, e non invece all’enorme stock di domande (336 mila nel 2015-2017) proposte negli anni del boom di arrivi e in buona parte non ancora a giudizio. La pezza di una norma transitoria potrebbe essere messa dal governo nell’iter in Parlamento di conversione in legge del decreto.