Corriere della Sera

Addio ad Accornero, il sociologo delle trasformaz­ioni industrial­i

Ex operaio era professore emerito alla Sapienza. Il ruolo nel Pci

- Di Paolo Franchi

Nel Pci d’antan la sociologia non era davvero di casa: se Giorgio Amendola (ma non solo lui) voleva fare a pezzi una tesi, la liquidava su due piedi tacciando chi i suoi sostenitor­i di «sociologis­mo». Non vorrei esagerare, ma a sdoganarla, emancipand­ola dal suo marchio di infamia fu Aris Accornero, che se ne è andato ieri, a ottantaset­te anni. Non un sociologo che veniva dall’università, ma un ex operaio comunista della Riv, licenziato nel 1957, come si diceva allora con parola brusca, ma non troppo lontana dal vero, per rappresagl­ia.

Verrebbe da dire un sociologo autodidatt­a, se non fosse che la sua scuola erano stati la fabbrica torinese («Fiat confino», si intitolava il primo dei suoi tanti libri, dedicato alla Osr, l’ Officina servizi ricambi passata alla storia come Officina Stella Rossa, perché vi erano stati relegati i quadri operai più in vista del Pci e della Fiom) e il ● Aris Accornero, professore emerito di Sociologia industrial­e all’università La Sapienza di Roma, è morto a 87 anni. Tra i suoi libri La parabola del sindacato e L’ultimo tabù sindacato. Un autodidatt­a che, nei molti anni da cronista e commentato­re sindacale dell’unità, era diventato uno studioso del lavoro (e dei suoi cambiament­i) molto apprezzato, il che non significa necessaria­mente ascoltato, non solo dai suoi compagni, ma pure dagli avversari.

Sul finire degli anni Settanta, divenne responsabi­le (ecco lo sdoganamen­to della sociologia cui accennavo) di un settore fin lì inesistent­e del Cespe, il Centro studi di politica economica del Pci: la sezione ricerche sociali. E più tardi andò in cattedra alla Sapienza, come docente di Sociologia industrial­e. Posso sbagliare, ma credo sia stato tra i primi professori non laureati nella storia dell’università italiana: ma a nessuno passò per la testa di farci su dell’ironia. Io lo avevo conosciuto anni prima, direi nel 1976, in una di quelle riunioni di redazione in cui Rinascita apriva le porte ai suoi collaborat­ori di eccellenza, e alle quali noi redattori più giovani partecipav­amo, appunto, come a una lezione universita­ria. Non aveva nulla del barone, Aris, titolare di una rubrica, «Lavoro e non lavoro», in cui ci spiegava, prendendo le mosse anche da episodi che potevano sembrare secondari, come stessero cambiando, nel passaggio dal fordismo al post fordismo, non solo la fabbrica, ma gli operai, non solo chi lavorava, ma chi un lavoro non lo aveva. Il direttore, Alfredo Reichlin, però, non gli dava mai la parola senza ammonirci: «Su questo l’unico che ci può dire qualcosa di originale è Aris».

E’ vero: non ce n’era bisogno, lo sapevamo già. Ma quel clima mi è tornato alla mente leggendo sul Corriere, giorni fa, la risposta di Ernesto Galli della Loggia a Emanuele Macaluso sul carattere più o meno popolare del Pci. E’ vero quel che dice della Loggia, nel Pci, almeno a partire dagli anni Sessanta, leader di origine operaia ce n’erano pochissimi. Ma per lo meno c’erano dirigenti (non tutti, certo) che gli operai, o almeno gli ex operai divenuti sociologi, li ascoltavan­o, perché volevano capire qualcosa di più non sull’ideologia del lavoro (che all’operaista Accornero non piaceva affatto) ma sul lavoro e i lavoratori in carne e ossa, e insomma su come cambiava — non sempre linearment­e, quasi mai nella direzione sperata — il mondo cui facevano riferiment­o.

Le analisi taglienti, e quasi sempre pacatament­e controcorr­ente, di Accornero hanno influito molto meno di quanto sarebbe stato giusto sia sul Pci e sui suoi successori sia sulla Cgil, alla quale è rimasto sempre molto vicino, e che ora gli rende omaggio commossa. Capita, agli intellettu­ali che non hanno mai suonato il piffero per il gruppo dirigente di turno, pur rispettand­olo ed essendone rispettati. Non credo che Aris se ne sia fatto un cruccio particolar­e, o per lo meno che me ne abbia mai accennato. So per certo che le nostre chiacchier­ate, sempre più rare, anche per colpa mia, negli ultimi anni, mi mancherann­o.

 ??  ?? Le opere
Le opere

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy