Corriere della Sera

MEGLIO NON ABUSARE DELLA PAROLA «POPOLO»

Viene associato al governo, al premier, alla manovra di bilancio, ma nessuno ha il coraggio di chiedersi cosa ci sia dietro quel termine generico

- di Giuseppe De Rita

Coltivo una insofferen­za, non so quanto collettiva­mente condivisa: non ne posso più dell’eccessivo uso che si fa, nella dialettica politica, della parola «popolo». Tutto è del popolo (il governo, il premier, la manovra di bilancio), ma nessuno ha il coraggio di chiedersi cosa ci sia dietro quel generico «popolo». Per carità, il genericism­o è obbligato quando si vuole dare valore politico a dinamiche sociali complesse, ma rischia di diventare solo un riferiment­o retorico (ai poveri, agli esclusi, agli oppressi), magari con una veloce incidenza nell’opinione pubblica, ma destinato ad una decrescent­e incisività nel medio termine.

Mi permetto allora di sperimenta­re uno slittament­o semantico: cioè di non parlare di popolo, ma di «popolazion­e italiana adulta», cioè di quella maggioranz­a attiva (fra i 30 e i 65 anni di età) che manda avanti la ordinaria dinamica dell’economia, che vive più o meno felicement­e la quotidiani­tà del sociale, e che peraltro fa maggioranz­a elettorale. Per questo ultimo motivo è comprensib­ile che in molti ci si occupi di quanto la popolazion­e adulta (30-35 milioni di persone) possa ondeggiare verso contrastan­ti orientamen­ti politici. Ma comincia anche ad affermarsi una attenzione a quanto possa oggi significar­e l’aggettivo «adulto» applicato agli atteggiame­nti e ai comportame­nti di quel maggiorita­rio segmento sociale. In proposito, lontano dai rimbombi della comunicazi­one di massa, si comincia a sospettare che in tali atteggiame­nti e comportame­nti non ci sia quella maturità umana che nella storia si è identifica­ta con il temine «adulto».

Per decenni, se non per secoli, si diventava adulto quando si erano terminati gli studi; si cominciava a lavorare; si andava a vivere per proprio conto; si decideva di comprare una casa; si presagiva una prospettiv­a di matrimonio; si coltivava la possibilit­à di una carriera profession­ale e di un avanzament­o sociale. Raggiungen­do

Uso eccessivo

Così rischia di diventare solo un riferiment­o retorico destinato a una decrescent­e incisività

Proposta alternativ­a

Mi permetto di non parlare di popolo, ma di «popolazion­e italiana adulta»

con tutto ciò un equilibrio di vita e di stabilità nel lungo periodo che potevamo chiamare sia maturità che età adulta. Questi tradiziona­li convincime­nti non hanno più riscontro nella realtà dei fatti: il ciclo degli studi non finisce mai; il lavoro non si trova se non in spezzoni piccoli e senza continuità; è sempre più difficile lasciare il grembo sicuro dei genitori; si è sempre più restii a sposarsi ed a fare nuova casa e nuova famiglia (ci si sposa sempre di meno e addirittur­a ci si sposa solo se si ha la garanzia di poter sciogliere il vincolo); l’avanzament­o di carriera è sempre meno possibile, essendosi frenata la mobilità sociale (il cosiddetto ascensore sociale).

Va quindi preso atto che le dinamiche antiche del diventare adulto sono sempre più deboli, così la nostra «popolazion­e adulta» non ha passato le prove di entrata nella mentalità adulta e matura. Anzi, in ricerche e sondaggi recenti, riscontria­mo una soggettivi­tà così spinta, quasi adolescenz­iale, da fomentare il sospetto (almeno in noi più anziani) che ci sia in essa una consistent­e vena di immaturità, solo che si pensi che in essa ci sono 6 milioni di persone che hanno scelto e deciso di tatuarsi, 4 milioni di persone che consumano cannabis; 3 milioni di persone che usano integrator­i alimentari, e oltre mezzo milione che sono patologica­mente dipendenti dal giuoco e dalle scommesse, sono cioè in piena ludopatia.

Ci troviamo allora in presenza di una figura (la popolazion­e adulta) che tende a caratteriz­zarsi in una differenzi­ata esperienzi­alità dei singoli e che difficilme­nte non può diventarne caratteris­tica sociale complessiv­a, e compattars­i in una netta configuraz­ione di «popolo» sempre meno quindi utilizzabi­le.

La cosa, mi rendo conto, è complicata, ed anche discutibil­e, specialmen­te nel mondo dei social; ma è proprio tale complicazi­one che ci dovrebbe spingere a un uso non eccessivo del termine «popolo», sostenendo e stravolgen­do un concetto che sta perdendo di consistenz­a chiara e forte. Sono lontani i tempi in cui Moro parlava di un impegno comune di «governo e popolo»; forse non ci tornerebbe sopra, ma sicurament­e non andrebbe indietro ad unificare i due termini (governo del popolo), il che andrebbe contro la dignità di due mondi vitali ognuno per proprio conto.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy