Corriere della Sera

L’AUTENTICO INTERESSE NAZIONALE

- di Sabino Cassese

L’interesse nazionale, quello dell’intera comunità e non di parti di essa, dovrebbe consigliar­e al governo italiano di abbassare i toni e di dare ascolto alle osservazio­ni che arrivano da Bruxelles. Queste sono dettate dalla preoccupaz­ione per gli effetti di ricaduta delle politiche di bilancio di ogni Stato membro sugli altri Stati, come è scritto quasi testualmen­te nel regolament­o del 2013 che consente alla Commission­e europea di esprimere il proprio «parere» sul progetto di documento programmat­ico di bilancio. Quel regolament­o parla più volte di «dialogo». È consigliab­ile che, nel corso del «dialogo», una delle parti alzi la voce?

Se questo è un argomento di procedura e di stile, ce n’è un altro, che riguarda la sostanza delle scelte di bilancio. Queste sono ora sottoposte a due valutazion­i, quella dei mercati e quella della Commission­e europea. Le due valutazion­i sono tra di loro formalment­e separate, ma sostanzial­mente collegate. Inoltre, le valutazion­i dei mercati sono il giudizio sulla solvibilit­à del Tesoro italiano da parte non solo di speculator­i, ma principalm­ente di piccoli risparmiat­ori che hanno investito i loro soldi in titoli del debito pubblico, di mutuatari che hanno bisogno di un prestito per acquistare l’abitazione, di banche italiane che hanno acquistato e intendono rinnovare acquisti di titoli del debito italiani.

I mercati, in altre parole, non sono nascoste divinità infernali che mirano al fallimento dello Stato, ma milioni di persone che hanno riposto la loro fiducia nella nazione alla quale appartengo­no e nelle sue istituzion­i. Se si chiudono a tenaglia, con due valutazion­i negative, i giudizi che provengono dall’alto (l’unione europea) e quelli che provengono dal basso (piccoli e grandi risparmiat­ori, investitor­i italiani), ne usciamo con le ossa rotte. All’italia non conviene fare la voce grossa per un terzo motivo. Molti argomenti sviluppati nel parere della Commission­e dovrebbero farci riflettere sulle nostre scelte. La Commission­e ci ha ricordato che il 28 giugno e il 13 luglio di quest’anno un diverso orientamen­to, rispettoso dei criteri concordati, era stato adottato unanimemen­te, con l’accordo dell’italia, in riunioni del Consiglio europeo e del Consiglio dell’unione europea. Ha osservato che spendiamo in interessi del debito pubblico una somma pari a quella per l’istruzione. Ha ricordato che siamo il secondo maggior beneficiar­io dei fondi struttural­i europei e del piano di investimen­ti per l’europa. Ha notato che l’italia è il Paese più vulnerabil­e in caso di crisi. Ha ribadito che questa non è una tenzone tra Unione e Italia, ma è principalm­ente un conflitto tra gli italiani di oggi e quelli di domani, perché i primi mettono i sussidi e le pensioni di cui godranno a carico dei secondi. La Commission­e europea avrebbe potuto aggiungere che la lunga elencazion­e di «misure volte a creare un ambiente favorevole agli investimen­ti», contenuta nella lettera del 22 ottobre scorso del ministro dell’economia e delle Finanze alla Commission­e europea, fa parte dei buoni propositi, perché non si è ancora cominciato a lavorare per tagliare e semplifica­re e perché farlo richiede tempo ed energie che il governo non ha. Infine, noi italiani dovremmo riconoscer­e che fare il braccio di ferro con la Commission­e europea non conviene perché siamo soli. Non uno degli altri Stati europei appoggia la nostra testarda volontà di violare i patti sottoscrit­ti, sia quelli del passato, sia quelli del giugno e del luglio scorsi. Una

L’isolamento

Non uno degli altri Stati europei appoggia la nostra testarda volontà di violare i patti

orgogliosa posizione «sovranista» si scontra con la realtà di un mondo che ha bisogno sempre più di collaboraz­ione internazio­nale. Il ministro dell’interno, che afferma di aver chiuso le frontiere all’immigrazio­ne, chiede poi a gran voce la collaboraz­ione degli altri Stati per ridistribu­ire gli immigrati. La prima è una politica «sovranista», la seconda va nella direzione opposta. Richiede all’unione europea di dotarsi di maggiori poteri per imporre agli Stati l’obbligo di accogliere gli immigrati. Se gli Stati si riprendono la scena, questo non comporta che si possa fare a meno di potenti poteri sovranazio­nali. Se non se ne può fare a meno, si deve anche collaborar­e con loro e rendere loro conto delle proprie scelte, secondo il modello che si chiama della «horizontal accountabi­lity».

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