Dj Fabo, avviso alle Camere
Scelta inedita della Corte Costituzionale. Cappato: «Un risultato straordinario»
La Consulta decide di non decidere: né accoglimento né rigetto ma un’attesa di undici mesi. I dubbi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale che punisce l’aiuto al suicidio restano integri ma la Consulta aspetta che sia il Parlamento a riformare la legge. Si riunirà a settembre 2019. Cappato: «Un risultato straordinario».
Né accoglimento, né rigetto: ROMA i dubbi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale che punisce l’aiuto al suicidio restano integri, ma la Consulta preferisce non decidere in attesa che intervenga chi ha il potere di fare e riformare le leggi, cioè il Parlamento. Un’attesa a tempo: undici mesi. Dopodiché, il 24 settembre 2019, la Corte tornerà a riunirsi, nella speranza che da qui ad allora le Camere abbiamo assolto al loro dovere. Altrimenti farà da sé.
È una scelta inedita quella dei quindici giudici costituzionali, presa all’unanimità dopo una approfondita discussione sulla vicenda dell’esponente radicale Marco Cappato, imputato davanti alla corte d’assise di Milano per aver aiutato a morire il «dj Fabo», Fabiano Antoniani, divenuto paraplegico e cieco dopo un incidente stradale. I giudici milanesi hanno chiesto se non sia in conflitto con i diritti sanciti dalla Costituzione (tra cui l’autodeterminazione e il rispetto delle convenzioni internazionali) punire chi aiuta una persona che, in piena coscienza e libertà, ha espresso il desiderio di morire per le condizioni quasi vegetali in cui versa.
La risposta è che la norma, effettivamente, odora di incostituzionalità, poiché probabilmente è irragionevole mettere sullo stesso piano quella situazione con l’istigazione al suicidio. Ma la materia è complessa e densa di implicazioni che toccano l’etica e la morale, oltre che il diritto. Gli interessi in gioco sono tanti, ed emettere un verdetto che si trasformerebbe in una riscrittura, seppure parziale, della legge, significherebbe invadere la sfera d’azione del Parlamento.
In vista dell’ordinanza che sarà depositata a breve, dal palazzo della Consulta è uscito un comunicato molto chiaro: «La Corte costituzionale ha rilevato che l’attuale assetto normativo concernente il “fine vita” lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione, e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti». C’è un vuoto normativo, quindi, la riforma varata lo scorso anno non l’ha colmato e sarebbe urgente provvedere. L’intervento della Corte è rinviato «per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina».
Una «messa in mora» a tempo che somiglia a un ultimatum e lascia soddisfatti tutti i protagonisti, perché fa proprie gran parte delle argomentazioni trattate sia da chi chiedeva l’accoglimento dell’eccezione di incostituzionalità (gli avvocati Vittorio Manes e Filomena Gallo che assistono Cappato), sia da chi ne sollecitava l’inammissibilità, o comunque l’infondatezza (l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri). Commenta Cappato: «È un risultato straordinario, la Corte ha riconosciuto le nostre ragioni». E il pm del processo milanese, Tiziana Siciliano, che aveva chiesto l’assoluzione di Cappato o l’invio degli atti alla Consulta, sottolinea che «sembrano confermate appieno le valutazioni della Procura su una normativa che non consente un adeguato bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti».