Corriere della Sera

Paura e violenza Le voragini nelle nostre città

- di Goffredo Buccini

Isociologi li chiamano interstizi urbani. Chi ci vive attorno sa che sono voragini di paura, crepe dolenti nel tessuto delle nostre città: posti così hanno inghiottit­o Desirée Mariottini e, in circostanz­e assai simili, Pamela Mastropiet­ro.

R eca infatti con sé la terribile suggestion­e del déjà vu e il grave fardello dell’emergenza sociale non risolta dalla politica la fine inaccettab­ile della ragazzina di Cisterna di Latina. Salita a Roma per una serata di divertimen­to e forse di sballo, in quella San Lorenzo che fu borgata operaia e ora è uno dei molti cuori della movida capitolina, Desirée è stata drogata, abusata e uccisa dentro un palazzo abbandonat­o di via dei Lucani. Lì, da tempo, si sono installati gli spacciator­i della nuova eroina, soprattutt­o nordafrica­ni e nigeriani. Nulla di segreto, intendiamo­ci: gli abitanti della zona avevano mandato persino filmati e foto dei pusher alle forze dell’ordine chiedendo invano lo sgombero di quelle baracche che dovevano diventare appartamen­ti residenzia­li e, abbandonat­e per un contenzios­o amministra­tivo, si sono trasformat­e in inferno quotidiano.

Ieri Matteo Salvini, venuto in via dei Lucani «a deporre una rosa», ha sperimenta­to per la prima volta la scomoda posizione di chi sarebbe tenuto — essendo da cinque mesi ministro dell’interno — a risolvere i problemi più che a denunciarl­i. Tra i consueti applausi ha raccolto i primi fischi e insulti («sciacallo»), forse neppure tutti provenient­i dagli antagonist­i schierati davanti al palazzo; s’è cavato dall’impaccio promettend­o — come quand’era all’opposizion­e — di tornare con la solita ruspa e additando altrui (presunte) responsabi­lità: della Procura, «cui ho chiesto il pugno di ferro, perché ciascuno deve fare la sua parte», e dei privati, «che abbattano gli stabili abbandonat­i».

In realtà, al di là dei proclami sempre identici, si inizia a intraveder­e un’imbarazzan­te linea di continuità nella gestione della materia, quasi un testimone passato da un governo all’altro nella difficoltà di agire. Perché tutto è, ed era, sotto i nostri occhi. Non era un mistero per nessuno, un anno fa, che gli spacciator­i nigeriani (alcuni fuorusciti dal sistema Sprar e diventati «fantasmi» per la nostra burocrazia) si fossero impossessa­ti dei Giardini Diaz di Macerata, creando lì il crepaccio urbano dove il 30 gennaio 2018 Pamela Mastropiet­ro è precipitat­a incontrand­o il pusher accusato della sua morte, Innocent Oseghale. Sul destino della diciottenn­e romana e sullo strascico del raid razzista di Luca Traini, «approvato» da una non piccola parte della città, si giocò l’ultimo brandello della campagna elettorale.

In tutti questi mesi non molto sembra cambiato in Italia. La questione migratoria e la questione delle periferie (non solo geografich­e, San Lorenzo e i Giardini Diaz certo non lo sono) restano intrecciat­e e irrisolte. C’erano in giro (fonte Commission­e parlamenta­re) seicentomi­la «invisibili», migranti irregolari fuorusciti dal nostro sistema d’accoglienz­a e naturalmen­te concentrat­i nelle aree di disagio. Salvini, prima del 4 marzo, promise di rispedirli tutti indietro in tempi brevi. Di recente ha sostenuto che molti di essi «sono

Sicurezza

Evocare i problemi irrisolti non basta, è necessario affrontarl­i e risolverli

già andati via», non si sa su quali basi. La realtà è nelle nostre stazioni, nei nostri parchi, sotto gli occhi dei cittadini che sperimenta­no quanto attuali siano le diagnosi riferite dai sociologi della Scuola di Chicago a un altro convulso periodo, i primi trent’anni del secolo scorso: «Le nostre grandi città rigurgitan­o di rifiuti, molti dei quali umani, cioè uomini e donne che per un motivo o per l’altro non sono riusciti a stare al passo con il progresso industrial­e». Si sostituisc­a «industrial­e» con «globale» e si avrà un quadro assai prossimo al presente. E qui, dunque, s’incrocia la grande, e attualissi­ma, questione urbana. La periferia, intesa anche come marginalit­à economica e sociale, sarebbe la vera sfida del cambiament­o, visto che in condizioni «periferich­e» vivono circa 15 milioni di italiani: i più in difficoltà. Mancano soprattutt­o strade, scuole, servizi, ovvero il tessuto che servirebbe a rammendare gli interstizi urbani da troppo tempo abbandonat­i (si pensi che dal 2007 al 2017 gli oneri di urbanizzaz­ione sono stati distratti dai Comuni in rosso per farne spesa corrente). Che il governo abbia congelato, per le note ragioni di bilancio, un miliardo e 600 milioni destinati dalla precedente maggioranz­a al Bando periferie non sembra una buona idea. Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno un merito storico: lo sdoganamen­to di parole come «paura» e «povertà» che, per quanto sentite nella carne dalla gente, erano di fatto cancellate dal dizionario dei governi a guida Pd. Ma evocare un problema non equivale a risolverlo: il rischio è che presto gli italiani debbano accorgerse­ne, assieme ai loro nuovi leader.

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