Corriere della Sera

Le correzioni sul deficit Con le riforme «a rate» si potrà diluire la spesa

Si allarga il fronte dei responsabi­li di Giorgetti e Buffagni

- di Francesco Verderami

Virtualmen­te il 2,4% non si tocca, perché nell’immaginari­o collettivo il «governo del cambiament­o» deve far sapere al «popolo» che non mollerà. Ma in politica anche la matematica può diventare un’opinione, ed è certo che — nel tempo — i «numerini» della manovra diverranno un’interpreta­zione, per acconciars­i all’esigenza di un inevitabil­e compromess­o. Così sul reddito di cittadinan­za — prendendo a pretesto il fatto che serviranno mesi per realizzare il testo di legge — verranno dilazionat­e le risorse, e i nove miliardi previsti per un anno saranno ripartiti in un triennio. Anche l’avvio della riforma pensionist­ica sarà fatto con un po’ di ritardo rispetto al target di gennaio, in modo da diluirne i costi, e con l’idea che di avviare una prima fase sperimenta­le. La Commission­e europea, al dunque, non potrà non tenere conto di questo nuovo scenario.

Perché il problema ormai è chiaro a tutti, a cominciare da Salvini e Di Maio: lo spread a questi livelli non si regge. Sabato scorso in Consiglio dei ministri il titolare di via XX Settembre aveva alzato la voce prima di sbattere la porta: «Abbiamo delle responsabi­lità verso il Paese. Abbassando il deficit abbasserem­mo anche lo spread. E lo spread deve calare o la pressione sulle banche diverrà insostenib­ile e il governo dovrà spendere dei soldi per salvarle». Siccome l’appello a scendere subito al 2,1% non era stato ascoltato, Tria aveva polemicame­nte disertato la conferenza stampa sul decreto fiscale. Il punto è che — durante la riunione di governo — c’era chi riteneva (e ritiene) che nemmeno un intervento di riduzione della manovra riuscirebb­e a contrastar­e il «sentiment» che sta influenzan­do i mercati.

Lo spread è il fantasma che si aggira sui conti di palazzo Chigi, nonostante Conte tenti di attribuirn­e l’aumento a fattori politici: sette giorni fa disse che era colpa delle «liti tra ministri»; l’altro ieri che è per «la prospettiv­a dell’italexit dall’europa». In realtà lo spread è stato innescato dall’impianto della manovra. Come ha confidato Giorgetti, «Conte sa come stanno le cose, gli erano state spiegate, si era ripromesso di intervenir­e su Di Maio e Salvini. Ma poi...». Poi gli azionisti di maggioranz­a nel governo avevano preso il sopravvent­o, nonostante gli appelli dello stesso Giorgetti sul leader leghista e del grillino Buffagni sul capo del Movimento. Negli ultimi giorni il fronte trasversal­e dei «responsabi­li» si è ingrossato, per effetto della dura realtà delle cose.

I paracadute sono pronti per essere aperti al momento opportuno onde evitare lo schianto: dietro l’arida contabilit­à nelle tabelle di bilancio s’intravvede il bizantinis­mo della politica che ricorda altre stagioni. L’obiettivo è creare un mix, necessario a salvaguard­are gli obiettivi elettorali di M5S e Lega e allo stesso tempo mettere al riparo il sistema, verso cui vengono lanciati chiari segnali. C’è un motivo infatti se, prima sul Messaggero e poi a Porta a Porta, Giorgetti ha reso pubbliche le sue preoccupaz­ioni sulle banche: «Nel caso fosse necessario, ci muoveremmo per tempo. Non faremmo come Renzi, che agì troppo tardi, rendendo il suo intervento più oneroso e meno efficace».

L’intento del sottosegre­tario alla presidenza era quello di parlare al mondo del credito. Fonti accreditat­e raccontano a tal proposito che Guzzetti, presidente dell’acri, stia preparando «un intervento molto forte» in vista del discorso che terrà il 31 ottobre alla Giornata del risparmio. Nel governo sanno che — rispetto alla crisi del 2011 — le banche hanno «in pancia» molti più titoli di Stato, e l’aumento della pressione fiscale previsto dalla manovra le mette in una condizione di crescente difficoltà. Un altro colpo di spread e la campagna per le Europee di Di Maio e Salvini si trasformer­ebbe in una via crucis: anche di questo i due leader erano stati avvisati.

Resta da capire se e come Roma e Bruxelles riuscirann­o ad arrivare al «disarmo bilaterale», anche solo verbale. Perché — come aveva ripetuto Tria in Consiglio dei ministri — «in Italia possiamo anche non dar peso alle parole di un presidente della commission­e Bilancio. Ma all’estero quelle parole vengono prese sul serio». Figurarsi quando a parlare sono due vice premier.

Il percorso

Reddito di cittadinan­za e pensioni partiranno gradualmen­te I timori sulle banche

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