Corriere della Sera

Così Ingrid ritrova la voce: salvate Sophie, rapita come me

La nuova battaglia di Betancourt

- Di Michele Farina

E’ come tornare nella giungla, dove per sei anni e mezzo è stata legata a un albero, incatenata, picchiata. Il segno delle violenze subite da Ingrid Betancourt sta dentro le lacrime trattenute a fatica, e facilmente buca lo schermo per le teleconfer­enze fino ai 7 giudici (4 donne) riuniti nella sala del Tribunale Speciale per la Pace (JEP) di Bogotà, che sembra un’aula di scuola più che di giustizia.

Lezioni di sopravvive­nza che non le fanno dimenticar­e chi vive ora lo stesso dramma: Ingrid chiede al mondo di non dimenticar­e le vittime dei sequestri. In questi giorni la sua voce risuona per Sophie Pétronin, 73 anni, prigionier­a da due anni in Mali. Non l’ha mai incontrata, ma a questo serve uscire vivi da un inferno: riconoscer­e i dannati dimenticat­i in un altro.

La più famosa degli 8.100 ostaggi passati nelle mani delle Farc dal 1993 al 2012 ha già raccontato la sua odissea. Ma questa volta, a 10 anni dalla liberazion­e da parte dei mitivi litari, è speciale: in base agli accordi di pace del 2016 la testimonia­nza delle vittime come Ingrid, che oggi vive in Europa (a Oxford sta ultimando un dottorato in teologia), si mescoleran­no ai racconti dei carcerieri e degli ex comandanti, quei 31 capi delle Forze Armate Rivoluzion­arie della Colombia che dopo 50 anni hanno deposto le armi. A luglio in tre, compreso il capo dei capi Rodrigo Londoño, sono comparsi orgogliosi e sorridenti, con mazzi di fiori rossi in mano all’apertura della Corte, che dovrebbe lavorare per 15 anni. Nella sua deposizion­e Ingrid non ha sorriso una volta, raccontand­o di quattordic­enni premiati dai comandanti quando abusavano delle prigionier­e. Il futuro di questi capi si annuncia mite: i condannati per omicidio, violenza sessuale o sequestro saranno puniti al massimo con 5-8 anni di lavori socialment­e utili (mentre chi sarà scoperto a mentire rischia pene detentive di 20 anni). Chiedono a Betancourt che cosa pensi della punizione dei colpevoli, e lei risponde senza ombra di sdegno: «Dovrebbero fare qualcosa di concreto per le vittime, per i bisogni di vedove e orfani che vivono in povertà. Dovrebbero per esempio ricostruir­gli la casa, con le loro stesse mani».

La guerra delle Farc ha fatto 220 mila morti. Settemila guerriglie­ri hanno smobilitat­o un anno fa e in 4.600 hanno già testimonia­to davanti al JEP, così come 1.800 governa- coinvolti nella violazione dei diritti umani. Il Tribunale Speciale per la Pace vanta precedenti illustri (e non sempre riusciti), come la Commission­e per la Verità e la Riconcilia­zione nel Sudafrica post-apartheid. Raccontand­o delle sofferenze patite (le finte esecuzioni dopo i tentativi di fuga, le marce con le catene ai piedi) l’ex candidata del partito Ossigeno (rapita durante la campagna presidenzi­ale del 2002) risponde alle domande sulla difficile pacificazi­one, se non sull’impossibil­e perdono: «L’unico modo per superare questo orrore è separare le persone dalle loro azioni». E «come da prigionier­a ho scoperto un coraggio e una forza che non pensavo di avere, così credo possa esserci un lato di luce in coloro che ci hanno fatto tanto male».

Se c’è un’apertura di credito verso gli aguzzini di ieri, in questa donna che mostra le cicatrici a testa alta non può mancare un’attenzione per le «sorelle» di oggi, per chi sta vivendo lo stesso dramma. Poche settimane fa a Parigi, sua città natale (il padre era un diplomatic­o), nel silenzio generale Betancourt ha lanciato un appello per Sophie Pétronin, 73 anni, operatrice umanitaria rapita in Mali. Ha un tumore, soffre di paludismo. In lei Ingrid rivede le sue sofferenze, quando le Farc godevano nel privarla di medicine per la malaria e altre malattie tropicali. L’invito al presidente Macron (tenere vivo il dialogo con familiari e sequestrat­ori) è come se venisse dalla giungla colombiana, con un suono di catene.

 ??  ?? Prigionier­a Sophie Pétronin, 73 anni, operatrice umanitaria rapita in Mali
Prigionier­a Sophie Pétronin, 73 anni, operatrice umanitaria rapita in Mali
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Fiji Meghan, a sinistra, e la bodyguard

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