Attenti alle dittature digitali e al (rinascente) nazionalismo
«21 lezioni per il XXI secolo» (Bompiani) dello storico israeliano Yuval Noah Harari è un libro di analisi ma anche la predica di una morale laica
Che cosa sta succedendo nel mondo e qual è il senso profondo di quel che accade? L’ascesa di Trump, la crisi della democrazia liberale, i difficili rapporti tra Unione europea e immigrati, il rivivere del nazionalismo, il timore del terrorismo, il pericolo di nuove guerre indicano che siamo ad una svolta, che non dobbiamo più illuderci delle «magnifiche sorti e progressive» dell’umanità? Dobbiamo preoccuparci per la diffusa delusione per la visione del mondo liberale e democratica, che in passato ha avuto tanto successo per la sua versatilità?
A queste domande cerca di rispondere, nella sua nuova opera 21 lezioni per il XXI secolo (Bompiani, pagine 526, 24) lo storico israeliano Yuval Noah Harari, reduce dal successo planetario di due precedenti libri, Sapiens (2014) e Homo Deus (2017), e lo fa sulla scia della recente scoperta della storia globale, mettendo insieme una pluralità di temi e di punti di vista (ma con molto diverso approfondimento), puntando più ai cambiamenti sociali e delle mentalità, piuttosto che a quelli degli Stati e della politica.
Secondo Harari, le nuove tecnologie possono produrre la perdita di posti di lavoro, di libertà e di eguaglianza, e condurre a dittature digitali. Il rinascente nazionalismo non è la risposta giusta, perché c’è bisogno di cooperazione globale.
Anche nei confronti dell’immigrazione c’è bisogno di una reazione equilibrata, che mantenga aperte le porte agli stranieri, senza farsi destabilizzare da coloro che non condividono i valori europei. Né bisogna farsi spaventare dal terrorismo (ha prodotto 25 mila vittime per anno, contro un milione e 250 mila vittime di incidenti automobilistici e 7 milioni di decessi imputabili all’inquinamento atmosferico) o dal timore di guerre (gli ultimi decenni sono stati i più pacifici della storia del mondo, perché solo l’1 per cento dei morti è stato dovuto a conflitti bellici, contro il 5 per cento del XX secolo e il 15 per cento delle prime società agricole).
Harari osserva che non abbiamo bisogno di invocare il nome di Dio per vivere una vita moralmente dignitosa, consiglia di evitare di rimanere vittime della propaganda e della disinformazione, suggerisce di non rimanere prigionieri della «illusione di conoscenza» (quella di considerare la conoscenza degli altri come se fosse nostra).
Infine, Harari indica come rimedi all’attuale crisi più istruzione (ma non intesa come accumulo di nozioni, bensì come possesso di strumenti critici, e meglio distribuita nel corso della vita) e la «prova della realtà», a cominciare dalla cosa più reale, la sofferenza, per dare un senso alla vita.
Insomma, questo di Harari è un libro di analisi, ma anche la predica di una morale laica e una lezione di apertura, umiltà e mitezza, con qualche punta di utopismo (per esempio, dove suggerisce di introdurre una rete di sicurezza economica universale, consistente in un sostegno minimo mondiale).
Immigrazione Secondo l’autore serve una reazione equilibrata, che mantenga le porte aperte agli stranieri