Corriere della Sera

QUELL’INTELLIGHE­NZIA CHE NON HA NULLA DA DIRE

Politica e società Ridotti a una sostanzial­e irrilevanz­a, i vecchi leader si sono ritrovati soli. Mentre gli intellettu­ali che potrebbero indicare nuovi orizzonti sono spariti

- di Antonio Macaluso

C’è uno spettacolo ancora più triste di quello che vede il suicidio auto-assistito dai dirigenti del Pd ed è quello di quel vasto mondo di intellettu­ali, artisti e fiancheggi­atori da salotto che vagano da mesi come cortigiani spaventati. I più furbi si sono riciclati per tempo, hanno coniato parole d’ordine appetitose per il popolo sanculotto e si accingono alla raccolta del nuovo seminato. Altri guardano inebetiti lo scorrere di un film – un horror ai loro occhi pigri – e altri ancora passano il tempo a prendersel­a con quei capi del Partito – una volta lisciati e adulati – che li hanno lasciati alla mercé di un futuro senza sicurezze.

Attenzione, sarebbe sbagliato pensare a quei «nani e ballerine» ai quali – con spregio – faceva riferiment­o negli anni 80 Rino Formica, indimentic­ato ministro delle Finanze, potente dirigente del Psi craxiano e, con il senno del poi, gigante del pensiero politico contempora­neo. Il circo degli adulatori è una costante ultra-millenaria della storia di monarchie, dittature, repubblich­e. Corti e governi sempre si sono circondati, consapevol­mente o per necessità, di cerchie ristrette o straripant­i di adulatori, consiglier­i, presunti saggi e infide spie, belle donne, animatori di salotti, ma anche comparse a ruolo variabile. Così è stato, così è, così continuerà ad essere. C’è poco da scandalizz­arsi. Se non si vuole essere inutilment­e ipocriti, bisogna accettare che il veloce assemblars­i di cerchi più o meno magici nelle stanze attigue al Potere ne sia una sorta di riflesso condiziona­to.

Non tutti i membri di questi temporary club hanno però le stesse inclinazio­ni, pretese, influenze. Ed è proprio qui che la differenza tra il gruppo dei «nani e ballerine» – per sua natura affamato ma di bocca buona – e quello della casta intellettu­ale e salottiera si fa sostanzial­e. Posto che gli endorsemen­t dei primi hanno scoperte finalità «di scambio» – avere dal Potente qualcosa di immediato, dandogli ciò per cui si viene chiamati o accettati nella sua cerchia: soldi, sesso, popolarità,

Alternativ­a Chi dovrebbe trovare «il sol dell’avvenire»? Gli studenti? Le masse deluse? La borghesia in scivolata verso il basso? Contraltar­e L’affermarsi di chi si fa vanto della sua ignoranza ribalta la situazione precedente, ma non è meno pericoloso

compagnia – con i secondi i rapporti sono più complessi e delicati. L’intellettu­ale o il gran borghese che mette a disposizio­ne il suo salotto hanno la capacità di accreditar­si come centri nevralgici di un sistema complesso di relazioni. Nella loro testa, il politico di successo del momento deve avere la percezione di riuscire – finalmente – ad essere ammesso in un circolo di idee e interessi dai tratti esclusivi. Essere fiancheggi­ati, spalleggia­ti, accuditi dai protagonis­ti della Cultura e dei caminetti mondani deve sembrare al neoarrivat­o politico un vero e proprio traguardo. Una ralare gnatela sottile che cattura prede per bearsi della propria capacità attrattiva, mostrarla e saldarla a un sistema omogeneo di idee e convenienz­e. Se, nella convinzion­e di Alberto Moravia, l’intellettu­ale doveva essere come il bambino della favola, che rivela al re la sua nudità, nella realtà annovera una vecchia tradizione di servilismo. Alle prese con un Paese ad alto tasso di analfabeti­smo, l’intellighe­nzia italiana, osservava Indro Montanelli, ha finito per lavorare per il protettore in mancanza di una vera e propria classe di lettori. Il che non vuol dire che scrittori, giornalist­i, registi, filosofi, storici e così via non abbiano di fatto costituito

quella sorta di cinghia di trasmissio­ne dal Potere verso il Popolo. Mai viceversa. Perché – è un comico come Pippo Franco a dare voce a una verità storica – «l’intellettu­ale italiano è sempre stato all’opposizion­e di ogni regime. Precedente».

I danni che questi intellettu­ali hanno prodotto sono per certi versi incalcolab­ili. Hanno sussurrato e suggerito – molto spesso condiziona­to – idee e scelte dei politici di successo, finendo talvolta – ma sempre più spesso – per allontanar­li dalla realtà del Paese. Uno scollament­o che ha prosciugat­o la vena popo- dei partiti di massa in una sorta di ritirata in ridotte sempre più lontane e difficili da difendere. Alla fine, come in una rivoluzion­e d’altri tempi, il fortino ha ceduto e il popolo inferocito ha dato il comando ai generali dell’oltranzism­o.

Ridotti a una sostanzial­e irrilevanz­a, i protagonis­ti della politica del passato si sono ritrovati soli. E proprio nel momento in cui – ora sì – l’intellettu­ale potrebbe plasmare nuove parole d’ordine, indicare orizzonti, mettere tutto il suo sapere al servizio della politica, ecco che sparisce, si mimetizza, tace. Aspetta forse che sia, ancora una volta, qualcun altro – i giovani? Gli studenti? Le masse deluse delle periferie? La borghesia in scivolata verso il basso? – a trovare «il sol dell’avvenire». Nessuna comprensio­ne per chi ha solo preso e non ha dato, per chi ha allontanat­o dalla sinistra, dal moderatism­o cattolico, dalla destra liberale la parte migliore di uomini e donne. Nessuna comprensio­ne per chi oggi vede Salvini e Di Maio come i nuovi barbari ma ha avuto meno coraggio delle oche del Campidogli­o nello svegliare chi evidenteme­nte dormiva sugli allori di un tempo. Un bagno gelido di solitudine per chi ha usato uomini e idee e un monito alla classe politica perché lavori, studi e pensi in proprio, senza delegare ad amici e consiglier­i che hanno più gambe che cuore. L’affermarsi di una classe politica che si fa vanto della sua ignoranza e approssima­zione ribalta la situazione precedente, ma non è meno pericoloso. Anche perché, come recita un antico proverbio, l’ignoranza è madre dell’arroganza. Come, purtroppo, è già possibile constatare.

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