I ragazzi della Scala seducono Fischer
Il maestro ungherese: «Affascinante la sfida di dirigere negli Usa i giovani dell’accademia»
È un colpaccio di quelli destinati a segnare un prima e un poi, per l’accademia del Teatro alla Scala, la presenza di Iván Fischer sul podio della sua giovane orchestra. A parte il carisma e la personalità che fanno del direttore ungherese una delle figure di più alto livello nel panorama esecutivo odierno, questi infatti è anche un formidabile didatta, capace come pochi altri di lasciare un’impronta indelebile nel pensiero e nella pratica di chi fa musica con lui. E averlo avuto per le tre tappe di una piccola ma importante tournée di concerti negli Stati Uniti — nel Maryland, a Princeton e New York — è stato un evento eccezionale per l’orchestra, per l’accademia e per gli ascoltatori americani, entusiasti di aver ascoltato splendide esecuzioni dell’ouverture rossiniana della Gazza ladra, della Sinfonia Italiana di Mendelssohn e della Quinta di Ciajkovskij.
Si tratta perlopiù di studenti delle facoltà di musica degli atenei newyorkesi (Columbia, Juilliard e altri) e appunto del Maryland e di Princeton, con i Sul podio
Iván Fischer, 67 anni, dirige gli studenti dell’accademia della Scala al Peter Norton Symphony Space di New York quali l’accademia scaligera, sotto l’egida dell’ambasciata d’italia e dell’istituto italiano di cultura, ha dato il via a una serie di collaborazioni istituzionali e scambi culturali che si auspicano proficui per il futuro.
Un colpaccio, come si diceva, aver coinvolto Iván Fischer in questa tappa della storia recente dell’accademia, unica istituzione didattica al mondo (1600 gli studenti divisi nelle aree Musica, Danza, Palcoscenico, Management) legata stabilmente al teatro d’opera di cui reca il nome. Fischer, infatti, non è musicista dalle mille collaborazioni. Oltre alla meravigliosa Budapest Festival Orchestra, che ha fondato e dirige stabilmente da 30 anni, suona un paio di volte l’anno solo con i Berliner, con il Concertgebouw di Amsterdam e la Filarmonica di New York. Non a caso, scherzando, il sovrintendente della Scala Alexander Pereira si è detto un po’ geloso del fatto che l’orchestra dell’accademia abbia avuto un tale privilegio che nemmeno l’orchestra scaligera, quella vera, ha mai avuto.
«Dopo tanti anni di orchestre competitive ai massimi livelli — ha confessato il direttore ungherese prima del concerto al Peter Norton Symphony Space di New York — mi ha affascinato la sfida di tornare a lavorare con ragazzi al massimo 25enni».
Mentre alla domanda sui pro e i contro di un’operazione del genere, ha risposto: «La cosa positiva è che assorbono ogni suggerimento come spugne» (e lo si sente eccome nel loro modo di fraseggiare). «Il contro — prosegue — è che sono troppo innamorati del loro strumento e lo ascoltano in continuazione. Ma quando impareranno ad ascoltare l’orchestra più del loro strumento, vuol dire che saranno diventati degli ottimi musicisti. Lo spero tanto, perché il mondo — ha aggiunto scherzando, ma nemmeno troppo — è pieno di professori d’orchestra anche 60enni che questo piccolo, grande passo non l’hanno mai compiuto».
Ma quando un titolo d’opera alla Scala? «Difficile, ho già tanti impegni. Ma mai dire mai, anche perché mi muovo sempre nel repertorio sinfonico, ma questo non significa che non ami profondamente l’opera…».