Corriere della Sera

Giordania, la frontiera

Un regno in posizione strategica amministra­to da un sovrano illuminato, scopritelo con noi

- @ferrariant Antonio Ferrari

Ho fatto l’inviato per quasi 45 anni e ho sempre pensato che il vantaggio di un inviato (la qualifica, fino a pochi anni fa, comprendev­a anche l’aggettivo «speciale») sia, nella profession­e giornalist­ica, davvero notevole. Probabilme­nte superiore a quello del corrispond­ente stabile in un singolo Paese. Infatti l’inviato, come dice la parola, viaggia molto, conosce diverse realtà, generalmen­te non mette radici, quindi non è necessario che sia inseparabi­lmente legato a un luogo. Avendo visitato, se la memoria non mi inganna, almeno cinquanta Paesi, cerco spesso con la mente o con i sogni di rivisitare le tappe di una vita. Nella mia classifica ideale dei Paesi frequentat­i la Giordania è sempre stabilment­e tra i primi tre, perché è a misura d’uomo, è limpida, gronda storia allo stato puro, è affascinan­te; conosce — assieme — povertà e generosità; perché è capace di ricevere con quella che i greci chiamano «filoxenia», cioè senza distinguer­e fra straniero e ospite.

Avendo frequentat­o, tra gli altri, tutti i Paesi del Medio Oriente, ho trovato nel regno un’accoglienz­a sempre straordina­ria. Una delle mie prima interviste, in quell’area, è stata con il grande Re Hussein. Ricordo che quando mi trovai davanti al sovrano ero abbastanza emozionato. Primo perché ero conscio della statura politica e morale di quell’uomo, e poi perché avesorrise va un sorriso aperto e avvolgente. Quando gli ricordai che anch’io ero, come lui, nato a novembre, quindi sotto il segno dello scorpione, mi strinse la mano e mi disse: «Bene, così parleremo un po’ dei nostri pregi, e ovviamente dei difetti». Il dramma si manifestò quando mi resi conto che il registrato­re non si muoveva. Cominciai a sudare. Regalmente, Hussein e mi disse: «Ho capito. Io e lei, in tecnologia, siamo carenti». E mi fece portare un altro registrato­re.

Conoscevo la storia della sua vita e della sua saggezza, pienamente ereditata dall’attuale Re Abdullah II, il figlio suo successore, sposato a quell’angelo che è la meraviglio­sa regina Rania, madre dei suoi quattro figli. Abdullah, che mi onora della sua amicizia, era emozionato alla sua prima conferenza stampa da sovrano. Allora estrassi dalla borsa la maglia numero 10 di Roberto Mancini, a quei tempi perla della mia Sampdoria, e dissi al re:«maestà, questa è la maglia di un grande campione che ha preso per mano una piccola squadra e l’ha portata a vincere il campionato». Metafora azzeccata per il giovane sovrano, che accettò il dono con compiacime­nto e simpatia, e per la sua Giordania. Questa straordina­ria famiglia hascemita, guidata dal diretto discendent­e del profeta Maometto, è al vertice di un Paese che non si può non amare. Un piccolo Paese, senza risorse energetich­e, stretto tra cinque frontiere che possiamo definire assai problemati­che: Siria, Iraq, Arabia Saudita, Israele e Territori palestines­i. Non solo. È la stessa maggioranz­a della popolazion­e del regno di origine palestines­e, ed è quindi comprensib­ile che ogni sussulto al di là del fiume Giordano abbia immediate conseguenz­e proprio nel regno. Una moltitudin­e di giordani ha legami famigliari dall’altra parte del piccolo ma storico corso d’acqua. Ed è logico, giusto e sacrosanto che la custodia dei luoghi Santi di Gerusalemm­e sia sotto il controllo del re di Amman.

Sarà davvero stimolante accompagna­re i lettori del Corriere, per Capodanno, in Giordania. Non soltanto per godere dell’eccitante atmosfera festiva, ma per condivider­e con chi verrà le meraviglie di quel Paese di frontiera. Dalla storica Jerash agli angoli più affascinan­ti di Amman, visitando i castelli che trasudano le emozioni del passato. Poi il Monte Nebo, l’altura dalla quale Mosè ebbe la visione della Terra Promessa. Dalla terrazza si possono vedere, meteo permettend­o, Gerusalemm­e e gran parte della valle del Giordano. Ancora più a sud, Petra e Little Petra, con gli edifici scavati nella roccia dai Nabatei. Infine il Wadi Rum e la tappa sul Mar Morto, a 400 metri sotto il livello del mare.

Una visita in Giordania davvero completa, lo dico per esperienza personale, meriterebb­e ancor più tempo, magari per vedere il castello di Aqaba «dal quale i cannoni già puntano verso il mare» come scrisse Lawrence d’arabia. Ma già il programma del viaggio è ricchissim­o e quasi esaustivo. E forse ricco di sorprese.

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