Louis Kahn e Venezia L’architettura della gioia
La mostra a Mendrisio, in Svizzera, su un progetto che non fu mai realizzato
Architetti da un teatro all’altro. Da quello — naturale — di Venezia, al Tam di Mendrisio, situato nel Campus universitario elvetico. Star della recita, Louis Kahn (19011974) con il suo progetto per il Palazzo dei Congressi di Venezia che sarebbe dovuto sorgere all’interno dei Giardini della Biennale. Il tutto, adesso documentato (sino al 20 gennaio prossimo) in una mostra — disegni originali, modelli, elaborati grafici, lettere, fotografie, registrazioni di lezioni e conferenze, ecc. —, a cura di Elisabetta Barizza e Gabriele Neri, autori di testi in catalogo (Mendrisio Academy Press e Silvana editoriale), con saggi di Mario Botta, Werner Oechslin e Fulvio Irace.
Non si capisce però, come, con tutti gli esempi di cataloghi esistenti, questo sia così graficamente infelice («la grafica venuta dal nord», la chia- ma qualcuno). Caratteri chiari su carta bianca, moltissime foto ridotte a francobolli, pagine e pagine incorniciate da grandi spazi bianchi, didascalie talvolta quasi illeggibili; per non parlare degli accapo («pubb/licazione», per esempio). Al contrario, ottimi i testi sui rapporti fra l’artistaarchitetto e Venezia: dai suoi viaggi, nel 1928 e nel 1951, alla partecipazione alle Biennali del 1968 e del 1972.
Il progetto per i Giardini, affidato a Kahn su input di Giuseppe Mazzariol, nasce dopo una serie di visite, incontri, discussioni dell’architetto statunitense di origine estone (il cui vero nome era Itze-leib Schmuilowsky), con altri colleghi e studenti, ma soprattutto con lo stesso Mazzariol e Carlo Scarpa. Autore, quest’ultimo, del negozio Olivetti di piazza San Marco, che Kahn — progettista, nel 1966, dello stabilimento Olivetti ad Harrisburg, in Pennsylvania — visita, accompagnato da Mazzariol e da Botta che ancora studente collabora con lui («Fu a dir poco strabiliato dalla sensibilità e dalla perizia di Scarpa che stimava l’erede più significativo della grande cultura artigianale rinascimentale, ora capace di declinarsi in un linguaggio contemporaneo»). Corollario: passeggiate per le calli, scorribande a Torcello («archetipo della storia millenaria che ha generato Venezia»), nel tentativo di captare «la memoria del passato (visto “come un amico”) e la cultura del presente».
L’architettura antica di una delle città più suggestive del mondo viene cooptata e assorbita da questo «visionario moderno», ricorda ancora Botta, il quale fa precedere il suo saggio da un distico di Kahn: «Venezia è l’architettura della gioia. Adoro questo luogo, un insieme nel quale ogni edificio collabora con gli altri. (…) Gli edifici che amo così tanto mi avrebbero accettato in loro compagnia?».
Iniziata nel 1968, la progettazione non va mai in porto. Perché? A distanza di mezzo secolo, la rassegna di Mendrisio ne narra storia e storie.
Il primo viaggio di Kahn in Laguna risale al 1928 (anno sabbatico alla scoperta del- l’europa), quattro anni dopo la laurea in Pennsylvania. Prima di approdare a Venezia, Kahn — nato a Kuressaare, nell’isola di Saaremaa, governatorato di Estonia dell’impero russo —, va a trovare la nonna. «Viveva in un’unica stanza di fianco ad un magazzino dove tenevano il pesce — ricorderà —. C’erano una stufa da cucina in un angolo e due sacchi di pesce seccato, poi una sedia, un tavolo e un letto. Io dormivo sul pavimento. Un’esistenza frugale. Lei aveva solo quello che le portavano i suoi figli. All’epoca i russi ci avevano tolto tutto».
L’approccio più importante di Kahn con lo Stivale è, comunque, la sua permanenza, negli anni Cinquanta, all’american Academy di Roma («L’architettura italiana permane la fonte dei miei lavori futuri. Qui tutte le forme pure hanno sperimentato ogni variante architettonica») che conclude con un soggiorno a Venezia, di cui fa «una lettura itinerante» (Barizza) e di cui restano matite e acquerelli (Ca’ d’oro, Basilica di San Marco).
La figura di Kahn non è avulsa da quella di Mazzariol (1922-1989), deus ex machina del rinnovamento di Venezia, definito uomo «dalla generosità senza limiti», che, in Laguna, prima di Kahn aveva chiamato Frank Lloyd Wright (Casa Masieri sul Canal Grande), nel 1951, e Le Corbusier, nel 1964 (nuovo ospedale a Cannaregio): entrambi i progetti, mai realizzati, integrano la mostra al Tam.
Quando, il 30 gennaio del 1969, i lavori preparatori del Palazzo dei Congressi (modello ligneo, disegni, plastici in gesso, ecc. ecc.) di Kahn vengono esposti a Palazzo Ducale, l’inviato del «Corriere della Sera», Dino Buzzati, parla di «un’invenzione limpida, solenne, per nulla provocatoria» e quello di «Le Monde», Jacques Michel, di «un grande architetto in una grande città». Moltissimi gli assertori dei progetti dei tre celebri architetti (valga per tutti il nome di Bruno Zevi), ma gli avversari alzano le barricate e la stupidità burocratica trionfa.