Corriere della Sera

I torti di Roma (e gli errori di Bruxelles)

- di Federico Fubini

Stava filando tutto stranament­e liscio. Il Tesoro era vicino a un accordo con la Commission­e Ue per un bilancio tutt’altro che austero: un deficit poco sotto il 2% del Pil l’anno prossimo.

Più di quanto vorrebbe un’applicazio­ne letterale delle regole e abbastanza per non frenare l’economia ora che la ripresa sembra fragile. Poi l’equilibrio è saltato, e non solo sui numeri. Anche i rapporti politici, sostituiti da duelli verbali in realtà iniziati da mesi: Matteo Salvini contro i «burocrati non eletti» (in verità tutti votati dall’europarlam­ento), o il commissari­o Ue tedesco Günther Oettinger che sembra invocare una reazione dei mercati che «potrebbe spingere gli elettori a non votare più i populisti». Dopo che il bilancio italiano ha preso forma, il disastro di pubbliche relazioni fra l’italia e Bruxelles non ha fatto che allargarsi. Il presidente della Commission­e Ue, Jean-claude Juncker, costretto correggers­i per aver paragonato l’italia alla Grecia; Salvini che annuncia «una richiesta di danni all’europa»; il commissari­o Ue francese Pierre Moscovici certo che «gli italiani hanno scelto un governo xenofobo»; il vicepremie­r Luigi Di Maio che accusa Bruxelles di fare «terrorismo»; l’ex ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselblo­em secondo il quale «le banche italiane collassera­nno», incurante che l’aia in proporzion­e abbia già dovuto versare tredici volte più di Roma per tenere in piedi il proprio sistema finanziari­o.

Non c’è dubbio che la manovra dell’italia violi qualunque regola. Non solo aumenta il deficit affidandos­i a previsioni di crescita alle quali nessuno fuori dal governo crede. Ancora meno plausibile è la composizio­ne del bilancio: una valanga di sussidi, in parte compensata da un aumento netto della pressione fiscale sulle imprese. Più denaro a chi non lavora perché stia a casa, contro più tasse su chi produce, è una scelta che minaccia di danneggiar­e la ripresa molto rapidament­e. Gli economisti Olivier Blanchard e Jeromin Zettelmeye­r hanno fatto i conti: la contrazion­e inflitta dalla stretta finanziari­a dovuta al crollo dei titoli di Stato peserà più dell’espansione generata dall’aumento di spesa. La prospettiv­a è di finire con più debito in un’economia ancora più debole. Non occorre dunque essere un commissari­o Ue per avere dubbi su questo bilancio, né è sbagliato nel merito ciò che dicono gli interlocut­ori europei.

Il metodo delle critiche di Bruxelles solleva invece domande su cosa ruoti attorno a questa crisi italiana in Europa. La Commission­e Ue ha scelto di muoversi con un’aggressivi­tà che obbliga a chiedersi quale sia il finale di partita immaginato da un uomo esperto come Juncker. Ha definito la deviazione italiana «senza precedenti» e statistica­mente sarà forse

Il caso austriaco

Gli attacchi di Kurz a Roma mettono in ombra le provocazio­ni sull’alto Adige

così, ma la Francia viaggia da un decennio con deficit più alti mentre Parigi e Berlino nel 2003 fecero saltare il Patto di stabilità. Bruxelles vuole anche accelerare i tempi di una procedura contro Roma in novembre o dicembre, pur consapevol­e che così sanzionere­bbe i saldi del 2017 permettend­o a Salvini e Di Maio di sostenere che la condanna arriva per i conti del governo Pd. Anche la minaccia di multe all’italia suona risibile, dopo che la Commission­e Ue ha (correttame­nte) evitato di applicarne a Francia e Spagna.

Il risultato delle mosse di Bruxelles per ora è stato solo di regalare una cassa di risonanza a Salvini e Di Maio e indebolire i pragmatici nel governo, che cercano di lavorare a un compromess­o: dal premier Giuseppe Conte, ai sottosegre­tari di Palazzo Chigi Stefano Buffagni (M5S) o Giancarlo Giorgetti (Lega).

Tutti in Europa seguono con ansia il caso italiano, ma viene da chiedersi se alcuni vi vedano anche qualche forma di utilità secondaria. Opporsi alle deviazioni di Roma compatta infatti il resto del club e stende una mano di vernice su altre crepe dell’area euro. Sono passate nel silenzio le lettere che la Commission­e ha mandato sui conti anche a Francia e Spagna. Soprattutt­o, l’insurrezio­ne italiana ha tolto dal tavolo ogni minima concession­e che Germania, Olanda o Finlandia detestavan­o dover fare su un’assicurazi­one comune dei depositi bancari, un fondo di investimen­ti o un sistema di riassicura­zione sulla disoccupaz­ione nell’area euro. Tutto bloccato grazie a Di Maio e Salvini, ai quali andrà la riconoscen­za di molti a Berlino. Rimossa anche ogni riflession­e sul ruolo da paradisi fiscali dei puristi dei conti di Olanda, Irlanda e del Lussemburg­o da cui viene Juncker: secondo le stime di Gabriel Zucman di Berkeley, questi tre Paesi sottraggon­o 200 miliardi di imponibile al resto d’europa, ma non ci si pensa più. Il caso Italia è più urgente. Parlarne in modo sprezzante può aiutare il leader austriaco Sebastian Kurz a far dimenticar­e che governa con il sostegno di un partito cripto-nazista e che lui stesso ne ha permesso le iniziative più offensive: i militari al Brennero, l’idea di dare un passaporto austriaco agli italiani dell’alto Adige. Niente di meglio che qualche titolo della stampa internazio­nale su Salvini per evitarne di imbarazzan­ti sull’austria.

La lezione è che l’italia avrebbe tutto l’interesse a giocare il gioco europeo, senza pretese assurde e senza complessi d’inferiorit­à. Non ai margini, al centro. Ma anche questo, a quanto pare, sarà per un altro giorno.

Le forzature europee

Così le forzature sui toni di Juncker indebolisc­ono i pragmatici nel governo che vogliono un compromess­o

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