Corriere della Sera

Migranti e terrorismo, Minniti racconta il suo Viminale

Nel libro dell’ex ministro i retroscena degli incontri esteri: la tensione con Haftar sciolta con una battuta

- Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

Il Viminale visto da dentro. Raccontato da chi lo ha guidato in uno dei momenti certamente strategici sia nella gestione dei flussi migratori, sia nella prevenzion­e degli attentati fondamenta­listi. Ecco perché il libro scritto per Rizzoli da Marco Minniti — Sicurezza e Libertà, terrorismo e immigrazio­ne contro la fabbrica della paura — si trasforma in una sorta di diario sui momenti cruciali vissuti dal nostro Paese. E diventa documento prezioso per svelare i retroscena di incontri di altissimo livello internazio­nale. Ma anche per ricostruir­e quanto avvenuto prima e durante la visita di papa Francesco in Africa per l’apertura del Giubileo, quando Minniti era a Palazzo Chigi come sottosegre­tario delegato ai servizi segreti.

Per governare il problema dei migranti Minniti parte da una convinzion­e: «L’italia e la Libia sono vittime dei trafficant­i di esseri umani». E per questo è interessan­te scoprire i suoi incontri con il presidente Al Serraj, ma soprattutt­o con il generale Haftar. Con lui ha avuto un colloquio di «due ore e quarantaci­nque minuti, un tempo infinito, anomalo, ma sicurament­e positivo». L’ex ministro rivela i dettagli: «Haftar era rimasto molto colpito dalle notizie, infondate, che riferivano di un rafforzame­nto della presenza militare italiana a Misurata. Non c’era stato nessun incremento militare ma solo un cambio del comando dell’ospedale, a cui era seguita una cerimonia poi raccontata con troppa enfasi. Mentre discutevam­o, mi accorsi che per Haftar il punto nevralgico era costituito proprio da quella cerimonia... Provai una carta: “Lei è l’unico che può capire fino in fondo quello che io sto cercando di dire”. I presenti rimasero per un attimo con il fiato sospeso, nessuno di noi sapeva come avrebbe potuto reagire l’uomo forte della Cirenaica. Non si poteva nemmeno escludere che interpreta­sse addirittur­a la mia affermazio­ne come una mancanza di rispetto. Dopo un attimo di sospension­e, rispose: “Hai perfettame­nte ragione, a volte noi militari siamo fatti così”. Scoppiò una risata generale, il clima si distese e da quel momento l’incontro cominciò ad andare in discesa».

Momenti concitati anche in occasione del Giubileo perché «per volontà papale l’apertura della Porta Santa si tenne infatti a Bangui, in Centrafric­a, un Paese tra i più difficili e rischiosi al mondo». Furono coinvolte Italia e Francia, Parigi fece sapere che «sconsiglia­va il viaggio per motivi di sicurezza». Minniti ricorda «l’irrevocabi­le volontà del Santo Padre a partire». Ricostruis­ce quanto fatto dall’intelligen­ce, il successo del viaggio, il messaggio per la lotta al terrorismo e la busta ricevuta «con una foto del Santo Padre con i suoi angeli custodi, tutti con indosso la maglietta della gendarmeri­a vaticana» anche se «mi è parso di intraveder­e qualcuno che della gendarmeri­a vaticana non era». Qualcuno che evidenteme­nte aveva portato a termine la missione.

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