Corriere della Sera

Italia-russia, una relazione speciale (che l’unione europea non capisce)

- di Sergio Romano

Quando si discute delle sanzioni che sono state inflitte alla Russia dopo l’annessione dell’ucraina, molti si chiedono, soprattutt­o a Bruxelles e a Strasburgo (le due capitali dell’unione Europea), perché l’italia sembri avere per Vladimir Putin una predisposi­zione favorevole e con il suo Paese un rapporto speciale. La ragione più ovvia è l’interscamb­io commercial­e che nel 2013, l’ultimo anno prima delle sanzioni, ha toccato i dieci miliardi. Ma vi sono anche altre ragioni, non meno importanti. Credo che occorra tornare ai primi accordi di Enrico Mattei con l’urss, agli inizi degli anni Cinquanta, per l’acquisto di petrolio sovietico. Mattei era coraggioso e spregiudic­ato, ma nel clima della Guerra fredda non sarebbe probabilme­nte riuscito a superare le diffidenze americane se non avesse potuto contare sulla tacita approvazio­ne di quella parte della Democrazia Cristiana ( Gronchi e Fanfani, tra gli altri, ma anche in molti casi Andreotti ) che aveva accettato la Nato con molte riserve e non smise mai di ricercare un dialogo con l’unione Sovietica. Il boom economico italiano, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, favorì gli scambi commercial­i. I due Paesi scoprirono di avere economie complement­ari. La Russia era ricca di materie prime e aveva grandi conglomera­ti industrial­i. Ma quando cercò di dare soddisfazi­one alla domanda di consumi individual­i che stava crescendo nella società sovietica, Krusciov dovette ricorrere ad aziende straniere e trovò in Italia quelle che seppero colmare il vuoto più rapidament­e. Il «capolavoro» fu l’accordo per la costruzion­e di una

Economie complement­ari Grazie a Mattei, agli Agnelli, sin dagli anni Cinquanta e Sessanta i due Paesi intensific­arono gli scambi

fabbrica di automobili, firmato a Mosca da Gianni Agnelli e Vittorio Valletta il 15 agosto 1966. La fabbrica fu consegnata e inaugurata tre anni dopo. Più tardi, all’epoca di Brezhnev, e ancor più negli anni della perestrojk­a, gli industrial­i italiani si attrezzaro­no per fornire impianti industrial­i «chiavi in mano». L’aumento degli scambi fu dovuto paradossal­mente anche alla esistenza in Italia del più grande partito comunista dell’europa Occidental­e. Molti fra i giovani che il Pci mandava ogni anno in Urss per il completame­nto dei loro studi, sposavano ragazze sovietiche e formavano famiglie bilingui che divennero un utile patrimonio umano per le aziende che volevano mantenere un rapporto con gli organismi economici dell’unione Sovietica. Al Pci, nel frattempo, non spiaceva favorire gli scambi commercial­i e trarne qualche profitto. Vi era poi a Mosca una Associazio­ne Italia-urss che organizzav­a eventi culturali, ma era anche una sorta di onesto sensale fra industrial­i italiani e l’apparato burocratic­o dello Stato sovietico. Il volume degli scambi fra l’urss e la Repubblica federale di Germania superava quello italo-s0vietico, ma fra russi e italiani c’era un po’ più di calore. Un russo cercò di spiegarmel­o, un giorno, dicendo: «Noi russi siamo napoletani congelati».

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