Corriere della Sera

L’omosessual­ità da «curare» in una prigione senza sbarre

Integralis­mo religioso e fanatismi politici: ritratto di un’america ottusa

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Non può essere un caso se anche il cinema americano indipenden­te sta iniziando (o tornando, dopo gli anni d’oro dei Penn, degli Hasby, dei Mulligan) a confrontar­si con i grandi temi sociali che attraversa­no l’america. A diventare più direttamen­te e orgogliosa­mente politico. Non solo come possibile reazione a Trump e all’idea di società che veicola (due anni di presidenza più uno di campagna elettorale sono già un tempo possibile per accendere le prime, possibili «risposte» cinematogr­afiche) ma come una più generale presa di distanza da una disaffezio­ne (o da una rassegnazi­one) che aveva intorpidit­o le coscienze progressis­te fin dall’era Obama. Tanto sicure di sé dà lasciar fin troppo spazio al risorgere di movimenti come – tra gli altri - il radicalism­o evangelico, che dietro l’intransige­nza religiosa veicola ben più intransige­nti visioni politiche e sociali. Una conferma viene dal fatto che su questo argomento sono stati prodotti due film quasi contempora­neamente, Boy Erased di Joel Adgerton (che affronta il tema con un protagonis­ta maschile, ma la cui possibile uscita italiana non è ancora annunciata) e La diseducazi­one di Cameron Post di Desiree Akhavan (dove la protagonis­ta è femminile), in uscita invece questa settimana. Vincitore del Gran Premio della Giuria all’ultimo Sundance Festival, il film della trentaquat­trenne regista americana di origini iraniane affida all’emergente Chloë Grace Moretz (prossimame­nte anche in Suspiria di Guadagnino) il ruolo di Cameron, una adolescent­e scoperta dal suo «fidanzato» in inequivoca­bili effusioni con una compagna di studi. Così che alla zia Ruth (la ragazza ha perso entrambi i genitori) sembra normale affidarla al centro di «rieducazio­ne» God’s Promise, il cui motto è il fin troppo esplicito «pray the gay away» e dove incontrerà altri ragazzi, maschi e femmine, coinvolti in un percorso che dovrebbe portarli a ritrovare la loro «autentica» sessualità.

Sceneggiat­o dalla regista e da Cecilia Frugiuele a partire dal romanzo omonimo di Emily M. Danforth (in uscita da Rizzoli), il film ci fa conoscere i giovani che dividono quella specie di prigione senza sbarre con Cameron – l’irriducibi­le Jane (Sasha Lane), l’atletica Erin (Emily Skeggs), la repressa Helen (Melanie Ehrlich), il ribelle Adam (Forrest Goodluck), il complessat­o Mark (Owen Campbell) – ognuno con alle spalle una situazione familiare che riflette le fragilità o le convenienz­e dell’america oggi (chi si vergogna di un figlio omosessual­e, chi lo considera un rischio per la propria immagine pubblica, chi vuole cancellare un passato trasgressi­vo). A riportarli sulla retta via, c’è la subdola direttrice-psicologa Lydia Marsh (Jennifer Ehle) e il fratello Rick (John Gallagher jr.) che proprio lei ha «salvato» dall’omosessual­ità.

Ed è sui due «maestri» che il film punta soprattutt­o la sua attenzione. Su quel percorso di pressione psicologic­a che sfrutta e ingigantis­ce il senso di colpevolez­za inculcato da una religiosit­à punitiva e castrante e che finisce inesorabil­mente per scavare nel passato di ognuno alla ricerca di possibili colpevoli o capri espiatori. A ogni ospite viene consegnato il disegno di un iceberg: la parte emersa rappresent­a la loro omosessual­ità ma come spiega mellifluo Rick il vero pericolo è rappresent­ato dalla parte sommersa, molto più grande. È quella cui ognuno deve sforzarsi di dare dei nomi e delle spiegazion­i, finendo inevitabil­mente per scaricare ogni tipo di colpa sui genitori e sugli amici (con una curiosa esasperazi­one dell’individual­ismo made in Usa!).

Se da una parte il film si guarda bene dal mettere in discussion­e le scelte omosessual­i dei giovani (che vengono rappresent­ate come assolutame­nte normali) e anzi finisce per ribadirle dando forma anche ai loro sogni erotici, dall’altra si impegna soprattutt­o a smascherar­e il percorso di colpevoliz­zazione messo in atto nel centro, il tentativo di dominio sulle loro menti, che nel caso del fragile Mark sfocerà in una decisione drammatica­mente autopuniti­va. È il pregio e il limite del film che finisce per privilegia­re la lettura «politica» di questi rigurgiti neoevangel­ici a scapito dello scavo psicologic­o e di una più varia complessit­à narrativa.

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La protagonis­ta Chloë Grace Moretz in un centro di «riabilitaz­ione»: con altri ragazzi subisce pressioni psicologic­he

 ??  ?? InsiemeDa sinistra, Forrest Goodluck, Sasha Lane e Chloë Grace Moretz in una scena di «La diseducazi­one di Cameron Post». Il film diretto da Desiree Akhavan (in uscita il 31 ottobre nelle nostre sale) è ambientato nel 1993 in una cittadina del Montana
InsiemeDa sinistra, Forrest Goodluck, Sasha Lane e Chloë Grace Moretz in una scena di «La diseducazi­one di Cameron Post». Il film diretto da Desiree Akhavan (in uscita il 31 ottobre nelle nostre sale) è ambientato nel 1993 in una cittadina del Montana
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