Corriere della Sera

TORINO PATRIA DELL’ORGOGLIO (ANNIBALE LO SA)

Torino è fiera Chiedete ad Annibale

- di Massimo Gramellini

L’orgoglio torinese che si ribella alla decrescita infelice di Chiara & i suoi appendini viene da lontano. Da quando Annibale mise a soqquadro l’intero Nord Italia e un solo villaggio si rifiutò di aprire le porte all’invasore: quello dei Taurini, che vennero distrutti. Poi il vento cambiò e arrivarono le falangi a testuggine tanto care a Gigius Caesar Di Maio, ma i Taurini superstiti non aprirono neanche a loro. Vennero distrutti un’altra volta, però sempre mantenendo la schiena in posizione verticale.

Nella loro lingua il nome «taur» non significa toro, come equivocaro­no i Romani, che si limitarono a tradurlo in latino. Significa monte. Torino dovrebbe chiamarsi Montagnino e montagnini i suoi abitanti. I quali, anche dopo secoli di migrazioni, conservano le caratteris­tiche di chi è cresciuto con una catena di vette innevate sullo sfondo: la resilienza, la diffidenza, la dignità.

Quando i moti rivoluzion­ari del 1848 affogarono e l’europa intera abrogò le Costituzio­ni liberali, un solo staterello si rifiutò di accartocci­are la propria: il Piemonte di un allora imberbe Vittorio Emanuele II, appena succeduto a Carlo Alberto. All’ambasciato­re borbonico che gli suggeriva di uniformars­i al vento reazionari­o del continente, quel giovanotto di poche e sgrammatic­ate parole rispose con una spremuta di aulica torinesità: «Le condizioni in cui versa il vostro Stato vi autorizzan­o più a chiedere consigli che a darne. Nel mio non vi sono né traditori né assassini». E lo mise sovranamen­te alla porta. I Taurini non avrebbero saputo fare di meglio.

La storia dei «bögianen» è un altro equivoco di traduzione. I soldati piemontesi meritarono l’appellativ­o durante la battaglia dell’assietta contro i francesi (1747) perché non si mossero. Nel senso che, di fronte all’avanzata dei trisnonni di Macron, rimasero ai loro posti invece di scappare a gambe levate. Dunque «bögianen» non significa pigro o conservato­re, ma coraggioso ai limiti della pazzia (vedi alla voce Annibale). I montagnini sono pazzi, di una follia che sconfina nella creatività. Il progresso tecnologic­o li esalta fin dai tempi del primo filatoio per la seta di monsù Peyron (fine Seicento), che anticipò la rivoluzion­e industrial­e senza averne purtroppo i capitali, e del traforo ferroviari­o del Fréjus (metà Ottocento), che non si doveva fare e invece si fece, nonostante gli appendini e i grillini esistes- sero già allora (però esisteva anche Cavour).

A differenza del milanese, che nasce con l’autonomia nel sangue, il torinese ha il culto dell’obbedienza e dell’organizzaz­ione. È stato un contadino e un soldato fin dall’antichità, un impiegato pubblico quando Torino era una capitale, poi un operaio metalmecca­nico. Rispetta le gerarchie, ma non è un servo. La fierezza montanara da cui discende gli ha trasmesso un fastidio congenito per i soprusi. Sopporta tutto in silenzio, tranne i prepotenti, specie quelli che si presentano a cavallo di un luogo comune. Ricordate Annibale? Appena un vincente lo minaccia, il montagnino invece di adeguarsi si ribella. Arrivando a fare cose che normalment­e detesta, come l’andare in piazza. Durante lo sciopero infinito del 1980, davanti ai cancelli di Mirafiori apparvero dei bollettini ciclostila­ti dal titolo inequivoca­bile: «Giù la testa, Capo». Contenevan­o nomi, indirizzi e targhe Le prepotenze

Con la sua fierezza montanara , il torinese sopporta tutto in silenzio, tranne i prepotenti Ma non esagera, neanche quando si arrabbia automobili­stiche dei quadri aziendali Fiat: quasi una segnalazio­ne ai brigatisti in cerca di bersagli. La rabbia si impastò con la paura e produsse il consueto mix di fierezza e follia. I minacciati uscirono allo scoperto, autoconvoc­andosi in un teatro sulle sponde del Po, da cui poi marciarono verso il centro della città. Partirono in poche migliaia, ma il corteo si ingrossò lungo la strada: impiegati, dirigenti, negozianti che abbassavan­o le saracinesc­he per unirsi alla fiumana di cappotti scuri. La famosa marcia dei quarantami­la, che forse erano la metà, ma di sicuro pesarono il doppio.

Agli inizi del nuovo millennio l’orgoglio torinese venne messo alla prova un’altra volta. I fratelli Agnelli defunti, la Fiat in rottamazio­ne, la città dei Taurini percorsa da una crisi di identità. Chiunque si sentiva in diritto di insegnarle che cosa avrebbe dovuto fare per uscirne. Però il «bögianen», lo abbiamo detto, si chiama così non perché sta fermo, ma perché non molla. I soldi e i sogni delle Olimpiadi Invernali rimisero in movimento la macchina della cultura, dell’innovazion­e e persino del divertimen­to, trasforman­do il mortorio in movida. Quando la fiaccola olimpica attraversò le strade, moltissimi torinesi erano in lacrime. All’improvviso si scoprivano felici di essere felici. Ed era tale la sorpresa che veniva loro da piangere.

Non immaginate­vi però un pianto a dirotto. I torinesi detestano gli eccessi. «Esageruma nen» (non esageriamo) è uno dei loro mantra. Specie quando si arrabbiano. Anche perché di solito si arrabbiano proprio con chi esagera. Ai No Tav che dicono «Non si può fare», i pronipoti dei soldati dell’assietta e degli operai del Fréjus rispondono «Lo abbiamo sempre fatto». Troveranno il modo di farlo anche stavolta. Ma senza esagerare. Altrimenti che torinesi sarebbero.

 ??  ?? La svoltaIl 14 ottobre 1980 si tenne a Torino la famosa «Marcia dei 40 mila», un lungo corteo composto da migliaia di impiegati e quadri della Fiat che a sorpresa decisero spontaneam­ente di scendere in piazza per protestare contro i picchettag­gi degli operai che impedivano loro, da 35 giorni, di andare al lavoro. L’effetto della marcia fu di spingere il sindacato a chiudere la vertenza con un accordo favorevole alla Fiat (Ansa)
La svoltaIl 14 ottobre 1980 si tenne a Torino la famosa «Marcia dei 40 mila», un lungo corteo composto da migliaia di impiegati e quadri della Fiat che a sorpresa decisero spontaneam­ente di scendere in piazza per protestare contro i picchettag­gi degli operai che impedivano loro, da 35 giorni, di andare al lavoro. L’effetto della marcia fu di spingere il sindacato a chiudere la vertenza con un accordo favorevole alla Fiat (Ansa)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy