Liguria, il mare distrugge yacht e strade
Rapallo, salvi per miracolo 21 marinai. Pier Silvio Berlusconi isolato a Portofino: «La natura si è scatenata»
Violento, furioso e spiazzante, il mostro non è arrivato dalla montagna. Non è stata la solita alluvione d’autunno, non ci sono di mezzo torrenti, piene ed esondazioni, quelle che da anni devastano la Liguria. Questa volta è stato l’amico di sempre, il mare. Si è gonfiato come negli oceani, ha raggiunto altezze mai viste, con onde di 7, 8, 10 metri, sospinto da un vento da Sud a 180 chilometri orari, sferzante, caldo, incessante, e accompagnato a tratti da una forte pioggia. L’effetto sul golfo del Tigullio è stato quello di una sorta di «tsunami»: la diga che protegge il porto di Rapallo spazzata via dalla forza del mare, centinaia di barche scaraventate a riva come giocattoli e finite un po’ ovunque, sulla passeggiata, in un ristorante, sotto l’antico castello, nel cantiere di San Francesco.
Yacht grandi e piccoli, velieri, scialuppe, tutti spaccati e spiaggiati. Mentre qualche chilometro più a Sud crollava la strada provinciale litoranea, unica via d’accesso per Portofino. Con il risultato che il famoso borgo marinaro è rimasto isolato, senza collegamenti via terra. È stata la notte più nera della Riviera.
Il giorno dopo, scene apocalittiche. «Guarda che roba, un cimitero di barche, quello è il Suegno di Pier Silvio Berlusconi», indica il giovane sindaco di Rapallo, Carlo Bagnasco, stivali da pescatore e tuta, che ci accompagna smarrito fra le macerie del porto, dopo una notte insonne trascorsa con una grande paura: «Abbiamo sfiorato la tragedia, 21 marinai sono rimasti aggrappati a una cima legata a un lampione per quattro ore...».
Il Suegno affiora dalle acque del golfo come una balena senza vita, mentre Berlusconi junior si trova con la compagna Silvia Toffanin, due figli e il personale di servizio nel suo castello sul promontorio, prigioniero di due frane. «Questo è quello che succede quando si scatenano le forze della natura», dirà qualche ora dopo nella piazzetta di Portofino. Poco più in là del Suegno, bianco e argentato, il veliero della famiglia Al-fayed, pericolante.
Fra l’ammasso di barche c’è anche l’edimetra della famiglia Gismondi, proprietaria di Artemide Group, che ha perso pure una motonave. E la stessa fine ha fatto il Testone di
Armando Testa. «Da noi c’erano 360 barche ormeggiate, non se n’è salvata una, un centinaio sono affondate», è il drammatico bilancio fatto a fine giornata da Marina Scarpino, la direttrice del Porto privato Carlo Riva. Lungo la passeggiata, bar e ristoranti con pezzi di scafi, legni, parabordi, fango.
«Ho perso tutto», scuote la testa un uomo che sta spazzando
il selciato della sua pizzeria, Sapore di Mare, devastata. Si chiama Yasser Ahmed, ha moglie, tre figli e viene dall’africa: «Sono qui dal 1990, avevo messo tutti i miei risparmi in questo locale...».
Nella Portofino isolata, il sindaco Matteo Viacava fa due conti: «Una trentina di attività danneggiate (Gritta compresa, ndr), 50 turisti evacuati. Ma il problema più grosso è la strada franata. Rimane solo il collegamento via mare, con i battelli, e una stradina sterrata che abbiamo ripristinato. Ma sarà tutto rifatto per Pasqua». Il governatore della Liguria, Giovanni Toti, che firmerà la richiesta dello stato di emergenza, è sicuro: «Ne usciremo anche stavolta e faremo presto».
Anche a Santa Margherita sono affondate varie barche.
Le onde gigantesche hanno travolto il «Covo di Nord Est», il celebre locale incastonato nella roccia che ospitò Frank Sinatra, Jane Fonda, Brigitte Bardot... Danni anche alle Cinque Terre con Corniglia isolata per diverse ore.
Ma il centro dello «tsunami» è Rapallo. «Siamo rimasti attaccati a quella cima per quattro ore, con l’ostro (il vento, ndr) che non ci dava tregua,
gente che ogni tanto si staccava, vagava nelle onde, poi si riaggrappava. Un miracolo», racconta con qualche sospiro Luca Canessa, uno dei 21 scampati alla tragedia. Sono i comandanti e i marinai che non volevano lasciare le barche dei loro datori di lavoro. «Quelle purtroppo sono perse, ma almeno noi abbiamo portato a casa la pelle».