Un festival con mix di culture «Genere tutto da raccontare»
Concerti ovunque, dai teatri del centro alla periferia
Suoniamo il blues, il jazz, il rock, la musica spagnola, gitana, africana, classica, europea contemporanea, voodoo. Qualsiasi cosa. Perché in definitiva è la musica ciò che suoniamo. Punto». Questa frase dell’art Ensemble of Chicago (vedi sopra), gruppo storico che approda finalmente a Jazzmi 2018 (a Milano da domani al 13 novembre), è più di una coincidenza. È piuttosto il vero e proprio manifesto del festival ideato e guidato da Luciano Linzi e Titti Santini che, giunto alla terza edizione, offre agli appassionati un cartellone dove, ogni anno di più, i confini sono abbattuti in favore delle contaminazioni e della varietà delle proposte, da quelle più tradizionali alle declinazioni più sperimentali. Proprio perché è il jazz stesso a essere nato dal mix di culture.
E allo stesso modo si cerca di abbattere i confini anche tra centro e periferia, annullando la distanza tra i luoghi istituzionali e storici coinvolti nel festival (i teatri dell’arte e Dal Verme o il Blue Note) e quelli meno scontati, che siano un museo, un chiostro o una chiesa o i tantissimi spazi nelle strade e nei cortili più lontani dalla movida. «Il nostro modello è sempre stato il London Jazz Festival, che ormai da tantissimi anni non solo porta la musica anche nei jazz club più piccoli e defilati di Londra, ma svolge anche un’importante azione di alfabetizzazione dedicando appuntamenti e dibattiti a cinema, libri e fotografia in tema — dice Luciano Linzi —. Oltretutto portare concerti gratuiti in spazi frequentati da giovani e non appassionati, quasi un Fuorisalone, significa proporgli un’alternativa con la quale entrerebbero difficilmente in contatto».
Soprattutto dopo l’expo, Milano ha cominciato a riempirsi di giovani di tutto il mondo, di attività hi-tech, di iniziative sostenibili, di un insieme policromo e vitale di energie che proprio nel jazz del nuovo millennio, dalle solide radici ma aperto al futuro, sembra trovare la sua colonna sonora ideale. «Vogliamo raccontare cos’è oggi il jazz a partire dalla sua storia, attraverso i grandissimi musicisti che ne sono stati protagonisti e che fortunatamente sono ancora tra noi. Dobbiamo ricordarci che in materia Milano ha una sua tradizione: in anni lontani ha ospitato i più grandi, da Davis a Coltrane, da Lenny Tristano a Ella Fitzgerald, e ancora oggi in città si suona e insegna jazz tutto l’anno — dice Linzi —. Dall’altra parte vogliamo anche mostrare l’estrema attualità di questa musica e possibilmente cercare di anticiparne l’evoluzione: Jazzmi sarà sempre più un festival contemporaneo, quindi aperto alle commistioni, alle sperimentazioni, alla ricerca perché il jazz, dato periodicamente per morto, semplicemente cambia, si evolve, conservando una dinamicità assoluta che vogliamo offrire ai nostri spettatori».
In una città complessa come Milano, organizzare un festival jazz piuttosto che di rock o classica regala agli organizzatori qualche vantaggio logistico: «È una musica che non ha particolari pretese, la puoi fare ovunque senza impianti audio o luci imponenti, anche in una stanza o per strada. È la musica della libertà, quella il cui bagaglio tecnico, ricco e importante, permette la massima creatività del singolo». E allora li facciamo tre nomi poco noti ai più che non bisognerebbe lasciarsi sfuggire? «Il sassofonista israeliano Oded Tzur, la trombettista anglo-iraniana Yazz Ahmed e il nostro giovane pianista Giuseppe Vitale — conclude Linzi —. Tre talenti molto diversi che sapranno stupirvi».
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Gli organizzatori Luciano Linzi e Titti Santini: «Questa è musica che continua a evolversi. Il nostro modello è Londra»