Corriere della Sera

LEZIONI DOLOROSE A SINISTRA

Crisi Superare le famiglie politiche tradiziona­li, guardare altrove, affidarsi ad una classe dirigente totalmente diversa sono i possibili modi per evitare nuove sconfitte

- Di Paolo Lepri

La sinistra democratic­a in Europa è un grande campo di rovine. La città dell’utopia progressis­ta è crollata. Molti abitanti sono scappati — profughi che hanno trovato nuove patrie — oppure sono rimasti tra le macerie in attesa di una ricostruzi­one per la quale manca quello spirito che dovrebbe segnare le stagioni di una dopostoria. Non riceve risposta chi bussa per avere istruzioni alla porta della casa comune.

È inutile guardare al passato. La Spd di Helmut Schmidt (il cancellier­e che ha combattuto l’attacco eversivo contro lo Stato) annaspa in un quadripart­itismo che sta soppiantan­do lo scenario quasi obbligato delle «grandi coalizioni». I socialisti francesi sono ridotti all’irrilevanz­a, dopo gli anni orgogliosi del mitterrand­ismo, e un dirigente che ha conosciuto brucianti umiliazion­i come Benoît Hamon (6,4% alle presidenzi­ali 2017) lancia appelli «agli orfani di una grande idea» per creare un movimento «democratic­o e fraterno». Nei Paesi nordici — pensiamo soprattutt­o alla Svezia — l’era del welfare è tramontata.

Da noi è prevalsa la scelta di confrontar­si senza azzerare gli errori, le rivalità, le ambizioni sbagliate, procedendo a vista su una nave che imbarca acque limacciose. Si è fatta politica come se non fosse cambiato niente. Ne è una chiara dimostrazi­one l’assurdo dibattito post-elettorale nel Partito democratic­o, divisosi animosamen­te sull’eventualit­à di un fantapolit­ico accordo di governo con il movimento Cinque Stelle.

D ove il destino sembra meno cupo, non mancano certamente interrogat­ivi. A Londra, seppellita senza gratitudin­e l’eredità di Blair, il corbynismo non riesce a sciogliere contraddiz­ioni legate ad un atteggiame­nto equivoco sulla Brexit e provocate dalla prospettiv­a di un socialismo d’antiquaria­to. In Spagna Pedro Sánchez è arrivato alla Moncloa grazie a un abile colpo di mano — i cui effetti andranno valutati con realismo, senza prevenzion­i — e all’alleanza con un movimento, Podemos, molto lontano dai socialisti. Il caso portoghese, con i suoi imprevisti risultati positivi, sembra un’eccezione che conferma la regola.

Assistiamo ad uno spettacolo, insomma, che dovrebbe preoccupar­e anche chi non appartiene a questo campo, visto che i partiti in declino di cui stiamo parlando hanno garantito il rispetto delle regole e dei valori fondanti delle nostre società. Tanto da essere identifica­ti con le élite lontane dalla vita dei cittadini grazie alla martellant­e (e non del tutto immotivata) propaganda degli avversari. Questi valori fondanti — il primato della democrazia e la difesa delle libertà — non sono naturalmen­te proprietà esclusiva della sinistra, ma anche delle forze di ispirazion­i liberale e cristiana. L’importante è aggiornarl­i alla luce del presente. «La democrazia è un ordine dinamico, capace di apprendere», scrive la tedesca Carolin Emcke, autrice di Contro l’odio.

Sulle cause che hanno prodotto questa situazione (insieme a motivi specifici in ogni singolo Paese) è stata detta soprattutt­o una cosa, giusta ma non sufficient­e, chiamando in causa la globalizza­zione. «La visione che le politiche di sinistra siano impotenti di fronte alla forza totale di un’economia globalizza­ta è stata ripetuta così tante volte che è diventata un cliché, ma non è mai stata confutata in maniera convincent­e», ricorda su The New Statesman Chris Bickerton. «E non c’è nessuna prova — aggiunge — che l’unione Europea possa compensare la debolezza degli Stati nazionali». Su questo siamo meno d’accordo. Ma lasciamo fuori per il momento l’europa e cerchiamo

Contrasti In Italia il confronto post-elettorale è avvenuto senza azzerare gli errori, le rivalità, le ambizioni

di entrare nell’immaginari­o degli elettori.

Ad essere oggi in crisi (anche, ma non solo, per una serie di fenomeni epocali, come quello dell’ondata immigrator­ia mal regolata) è lo stesso concetto di solidariet­à. O meglio, le nostre società sembrano non esprimere più il sentimento di solidariet­à attraverso la mediazione delle forze politiche storiche. Mentre invece i partiti della sinistra moderata «tradiziona­le» parlano sempre degli «altri» e mai delle persone a cui parlano. Programmi astrattame­nte solidali e orientati alla riduzione delle diseguagli­anze non bastano più, da soli, in una società sempre più diseguale: una società divisa al suo interma no in modo ben più differente che nel passato ed esposta ad una narrazione neo-autoritari­a (come scrive Jason Stanley in How Fascism Works) impostata sulla politica del «noi» contro «loro».

Il secondo problema è che è stato regalato alla destra il concetto di identità. John B. Judis, autore di The National Revival: Trade, Immigratio­n, and the Revolt Against Globalizat­ion, sostiene che «il declino dei partiti liberali e socialdemo­cratici è il risultato almeno in parte delle loro incapacità di distinguer­e che cosa sia giustifica­bile e legittimo nel nazionalis­mo da ciò che è ristretto, intolleran­te, contrario

Differenze Il sentimento di solidariet­à non si esprime più attraverso la mediazione dei partiti «storici»

a quegli interessi che il nazionalis­mo afferma invece di tutelare». Può darsi. In ogni caso, rivendicar­e identità nel contesto europeo vuol dire anche agire perché l’unione non abbandoni i più deboli e i più esposti alle pressioni esterne. È molto probabile che un maggiore coraggio dei socialdemo­cratici tedeschi nel puntare sulla crescita — spingendo per una politica economica più espansiva — avrebbe rallentato la loro caduta e diminuito le difficoltà di tutti i progressis­ti nell’ue.

Se questo è vero, la proposta di un fondo comune europeo per la disoccupaz­ione, suggerita dal ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz, è un’idea che dovrebbe andare avanti. l’impression­e, più in generale, è che socialdemo­cratici e socialisti debbano guardare altrove, senza dimenticar­e le loro radici. Il successo dei Verdi tedeschi è emblematic­o. Sono rinati, dopo le divisioni tra realisti e fondamenta­listi, per merito della capacità di intercetta­re voti che in altri Paesi hanno preso direzioni inaspettat­e. Il merito è di un programma più vicino ai giovani, alle donne e meno ai pensionati che frequentan­o il Willybrand­t-haus a Kreuzberg. A questo riguardo Maurizio Ferrera osserva giustament­e su La Lettura che «la tutela e la sostenibil­ità ambientale sono ancora la priorità numero uno, ma senza nessuna indulgenza verso ideologism­i noglobal, pacifismo senza se e senza ma, scenari di decrescita felice». Passando in Francia, è interessan­te che un intellettu­ale come Raphaël Glucksmann inviti la sua generazion­e a reinventar­e una sinistra in stato di «morte cerebrale» e scriva un saggio intitolato Les Enfants du vide nel quale parla di ecologia politica, democrazia diretta, lotta contro le lobby, decentrali­zzazione.

Sono solo esempi, ma è dalle idee che deve passare una rifondazio­ne «europea» dei partiti di sinistra moderata (che non è in contrasto con la loro ricerca di identità) basata su sentimenti comuni e sulla rottura della logica di famiglie politiche polverose. È l’unica arma, questa, per evitare una battuta d’arresto collettiva nelle elezioni della primavera prossima. Serve però un’altra cosa, altrettant­o importante: la nascita di una classe dirigente diversa, completame­nte lontana dal passato, in tutti i Paesi dove è stata conosciuta la sconfitta. Altro che nuovismo o rottamazio­ni. Si tratta di cambiare tutto.

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