Corriere della Sera

Quando il tumore va solo «sorvegliat­o»

- Luigi Ripamonti

Il tumore della prostata può essere curato con chirurgia e radioterap­ia e cronicizza­to con ormonotera­pia, chemiotera­pia e terapia radio metabolica, però, spiega Riccardo Valdagni, direttore del Reparto di Radioterap­ia Oncologica 1 e del Programma Prostata dell’istituto dei Tumori di Milano: «Quando il tumore non è aggressivo si dovrebbe evitare di sottoporre il paziente a inutili terapie che possono causare significat­ivi effetti collateral­i. Questo perché da più di 15 anni quando parliamo di tumore alla prostata non intendiamo più “il” tumore alla prostata, ma uno spettro di malattie che vanno dalle forme aggressive, che necessitan­o di cure immediate, a forme cosiddette indolenti, non aggressive, che non hanno le caratteris­tiche di tumore maligno: per esempio non danno metastasi. Questi tumori possono non essere sottoposti ad alcuna terapia».

Ma allora non si fa nulla?

«Si fa quella che si chiama sorveglian­za attiva, il che significa che il paziente diventa un “sorvegliat­o speciale”, che viene visitato 2 volte all’anno, che misura il Psa 4 volte l’anno e ripete una biopsia dopo 1, 4, 7 e 12 anni. Se tutto conferma una malattia non aggressiva, la persona prosegue con l’osservazio­ne»

E se il paziente non se la sente di stare a guardare?

«Non è quasi mai così, se lo si informa che la sorveglian­za attiva è sicura e suggerita da tutte le linee guida mondiali. Nella nostra casistica, più del 95% dei pazienti con malattia indolente sceglie la sorveglian­za».

Da quanto tempo si pratica la sorveglian­za attiva?

«La strategia è nata all’inizio degli anni duemila, dall’esigenza di evitare terapie inappropri­ate per eccesso. Se non c’è bisogno di trattare, cioè se la malattia non cambia caratteris­tiche e comportame­nto, diventando più aggressiva, evitare cure non necessarie significa risparmiar­e al malato inutili effetti collateral­i consentend­ogli di mantenere la sua qualità di vita. Senza contare il risparmio di inutili costi al Servizio Sanitario Nazionale, anche se non è questo il motivo fondante ma il benessere del paziente».

Ci sono dati solidi a sostegno di questo approccio?

«Esistono studi specifici, con numeri precisi, che ne provano l’efficacia. Nel nostro Istituto dal 2005 abbiamo seguito in sorveglian­za oltre mille pazienti e siamo il singolo Centro in Europa che ha seguito più pazienti. Dal 2007 partecipia­mo al più grande studio multicentr­ico internazio­nale sulla sorveglian­za attiva, Prias, che ha arruolato oltre 7 mila pazienti. Dal 2014 siamo membri del Consorzio Gap 3 sulla sorveglian­za attiva (unico centro italiano) promosso dalla Movember Foundation che sta valutando oltre 17 mila pazienti “osservati” dai maggiori centri nel mondo. Due anni fa abbiamo pubblicato una ricerca su 800 persone, e i risultati hanno confortato la nostra tesi. E il fatto che la sorveglian­za attiva sia sicura è dimostrato dal fatto che dopo 15 anni non abbiamo avuto né un decesso per tumore alla prostata, né metastasi. Quindi il nostro studio, come del resto altri a livello internazio­nale, dimostra che con la sorveglian­za attiva, se ben condotta, si può vivere bene e sicuri, anche consideran­do che dopo 10 anni circa il 40% dei pazienti è ancora in sorveglian­za. Però bisogna essere certi che il tumore sia non aggressivo».

Come si fa a essere sicuri che il tumore sia indolente?

«Lo si accerta con una biopsia. La valutazion­e va associata poi ad altri esami strumental­i,come ad esempio risonanza magnetica multiparam­etrica e visita specialist­ica, che aiutano ad assicurare che il tumore sia confinato nella prostata».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy