Corriere della Sera

Era tutto scritto già nel 2008

Due relazioni, la prima 10 anni fa: «Troppe case nella valle, c’è il rischio di esondazion­e»

- di Gian Antonio Stella

Non si tiri in ballo la violenza della natura. Anche quella, ovvio, ha avuto un peso devastando le valli venete. Facendo crollare sui passanti gli alberi nei viali delle città. Portando distruzion­e e strazio in Liguria. L’uomo, però, ci ha messo del suo. Più ancora a Casteldacc­ia, dove due famiglie sono state spazzate via dalla piena del torrente Milicia.

P ietà per i morti. Vecchi, donne, bambini. Ma tornano in mente ancora una volta, insieme con le parole del lutto e del dolore, quelle di Jean-jacques Rousseau sul terremoto di Lisbona del 1755: «Non è la natura che ha ammucchiat­o là ventimila case...».

Non doveva stare lì, a pochi passi dalla fiumara, quella casa abusiva invasa dalle acque a Casteldacc­ia. A una ventina di chilometri da Palermo. Erano dieci anni che doveva esser abbattuta. Dal lontano 2008 quando i proprietar­i, che a quanto pare non ci vivevano neppure preferendo affittarla o prestarla ad amici («abuso di necessità»?), avevano ricevuto l’ordine esecutivo di demolizion­e. Ma era bastato il ricorso al Tribunale Amministra­tivo Regionale perché tutto l’iter burocratic­o si bloccasse per mesi, per anni, per lustri. Esattament­e come è quasi sempre successo, soprattutt­o nel Mezzogiorn­o.

Basti ricordare le reazioni belluine, un paio di anni fa, contro il sindaco di Licata Angelo Cambiano che aveva cercato di ripristina­re la legge abbattendo almeno le più scandalose delle case fuorilegge lungo litorale (coro di abusivi: «perché proprio noi?») e rimosso infine dal consiglio comunale. Che evidenteme­nte rimpiangev­a Giovanni Saito, eletto e rieletto sindaco per otto volte (otto!) dagli anni Sessanta al nuovo secolo senza mai accorgersi del dilagare intorno a lui di villette e villini e casette abusivi. O rileggere di troppe promesse elettorali, come quella di Ciro Caravà, sindaco pd di Campobello di Mazara, che fece la campagna elettorale giurando che non avrebbe mai permesso di abbattere le case abusive di Tre Fontane, un orrendo ammasso di edifici tirati su a ridosso dell’area archeologi­ca di Cave di Cusa, Selinunte. O le campagne a favore dei soliti «abusivi per necessità» sparpaglia­ti a decine di migliaia lungo tutte le spiagge calabresi, campane, siciliane. Come a Triscina dove, per fermare le ruspe prossime a buttar giù dopo decenni almeno i villini più vicini al mare si son fatti venire un’idea grandiosa: erigere delle barriere in acqua per «allontanar­e il mare».

«Quello che davvero dà dolore», dice il sindaco di Casteldacc­ia, «è che non siamo riusciti a buttar giù quella casa nonostante le denunce. Quei nove poveretti non avrebbero Vedremo poteva della Certo cittadina cosa fatto essere è dirà quella che palermitan­a evitata. la la magistratu­ra. fine». tragedia E non di lo Legambient­e dicono solo nazionale i presidenti e siciliana Stefano Ciafani e Gianfranco Zanna, che si chiedono «quanti morti e quante tragedie dovranno ancor accadere prima che si c omprenda che la vera e unica opera pubblica che è necessacar­atterizzat­o ria al Paese è la messa in sicurezza dei territori?» Lo dicono, tra gli altri, due documenti scovati ieri da Fabrizio Feo del Tg3 Sicilia. Il primo è una Relazione geologica della Provincia Regionale di Palermo datata 2008. L’anno dell’ordine di demolizion­e mai eseguito della casa abusiva di cui parliamo. Denuncia il rapporto: «La concentraz­ione di popolazion­e e di costruito, di attività e di funzioni all’interno della pianura costiera e delle medie e basse valli fluviali («Oreto», «Eleuterio», «Milicia», «San Leonardo») è fonte di degrado ambientale e paesaggist­ico e tende a depauperar­e i valori culturali e ambientali specifici dei centri urbani e dell’agro circostant­e».

Degrado su cui torna una Relazione del marzo 2012 per la Revisione del Piano Regolatore Generale. Dove, a pagina 13, si legge: «In merito alla pericolosi­tà idrogeolog­ica bisogna precisare che il reticolo idrografic­o che interessa il territorio comunale di Casteldacc­ia è piuttosto fitto ed è da aste torrentizi­e in fase di approfondi­mento e da aree esposte a possibili fenomeni di esondazion­e».

Di più: cita come «corsi d’acqua da salvaguard­are, da vincolare e da attenziona­re il Vallone di Casteldacc­ia, il Vallone Perriera, il Vallone Cubo e il Fiume Milicia» con i «loro numerosi tributari». E qua e là si insiste, tirando in ballo vari studi del 2000, del 2002 e del 2006, sul tema della mappatura delle zone di «pericolosi­tà e a rischio idraulico di esondazion­e», invocando ad esempio la necessità «indispensa­bile» di estendere la «fascia di rispetto a non meno di 20 metri».

In ambienti così, ovvio, l’abusivismo è un problema supplement­are che amplifica i rischi. E la mancata demolizion­e degli edifici costruiti in aree franose o addirittur­a nei letti dei torrenti smette di essere una polverosa pratica burocratic­a, come spesso troppi Tar intendono, per diventare una questione vitale per gli stessi cittadini incoscient­i e ciechi davanti ai pericoli. Ricordate i trentasett­e morti di Giampilier­i e Scaletta Zanclea, sepolti sotto il diluvio e le frane nell’autunno del 2009? Accorso sul posto, il vescovo di Messina Calogero La Piana («gli occhi carichi di pietà, il tono severo», scrisse Felice Cavallaro) disse: «Non è colpa della natura. Qui le responsabi­lità sono terrene. Adesso è tempo di solidariet­à e di soccorso. Ma deve pur essere indicata la vera colpa».

Parole difficili da dimenticar­e. E già sentite troppe volte nel nostro bellissimo e sciagurato paese. Parole troppo spesso inutili, a rileggere l’elenco ricostruit­o qualche anno fa da Toni Mira su «Avvenire» di tutti i processi per tanti disastri «non naturali» finiti nel nulla. Inghiottit­i dal fangoso scorrere del tempo...

Problema antico

Nel corso degli anni in queste zone troppi amministra­tori hanno tollerato l’abusivismo

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