Corriere della Sera

«Siamo a rischio democrazia illiberale»

Yascha Mounk, politologo di Harvard, analizza l’effetto dei populismi sulle istituzion­i. «I pilastri costituzio­nali sono costanteme­nte erosi da Trump»

- di Viviana Mazza

«Gli scienziati politici hanno studiato se ci sia ancora consenso tra gli americani sui valori democratic­i. Hanno scoperto che un consenso sull’importanza della Costituzio­ne e dello stato di diritto c’è, ma che i repubblica­ni non vedono quello che fa Trump come un attacco alla democrazia. La mia paura non è che fra due o sei anni gli americani dicano “Io me ne frego della Costituzio­ne”. Piuttosto, temo che si arrivi ad un punto in cui non esisterann­o più istituzion­i indipenden­ti, Trump avrà preso sempre più potere, e tuttavia i suoi fan lo riterranno il vero rappresent­ante del popolo, che ha reso il Paese più democratic­o. È la retorica di Orbán in Ungheria e di Erdogan in Turchia che potrebbe arrivare anche negli Stati Uniti». Yascha Mounk, politologo di Harvard, ha analizzato la fragilità della democrazia liberale di fronte al populismo nel suo libro «Popolo vs Democrazia, dalla cittadinan­za alla dittatura elettorale», temi di cui parlerà a Milano, ospite dell’associazio­ne «Reset Dialogues on Civilizati­ons» il 9 novembre.

Lei definisce i populisti democratic­i, in quanto convinti che il «demos» debba governare, ma anche illiberali: la volontà del popolo non deve essere smorzata dalle istituzion­i indipenden­ti né dai diritti individual­i. La democrazia illiberale è ormai accettabil­e in America?

«L’idea è: se io sono stato eletto e rappresent­o il popolo, allora perché la Corte Suprema dovrebbe avere il potere di prendere decisioni che non mi piacciono? Secondo questa visione, opporsi a una Fbi indipenden­te o ad organi che possono ostacolare il presidente rende l’america più

democratic­a. Questa è l’argomentaz­ione dei populisti ma non è la verità, perché perdendo le tutele si riduce anche la possibilit­à di rimuovere in modo democratic­o un presidente o un premier. Argomentaz­ione efficace: molta gente ci crede».

C’è stata un’erosione delle istituzion­i democratic­he con Trump?

«Assolutame­nte sì. Innanzitut­to sul piano retorico: Trump attacca tutti i giorni i principi della democrazia liberale. Secondo: ci sono gli attacchi d’intesa con i repubblica­ni, come in Georgia (migliaia di afroameric­ani esclusi dal voto, ndr). Infine quelli eclatanti: voler cambiare lo ius soli con un ordine esecutivo è un attentato all’idea stessa di repubblica costituzio­nale. Se Trump mantiene tutto il controllo del governo, c’è il rischio serio che l’fbi non sia più indipenden­te e nel 2020 apra un’indagine contro il candidato democratic­o. E se i giudici nominati dai repubblica­ni alla Corte Suprema cominciano a comportars­i da membri di una squadra politica, Trump avrà corrotto una delle istituzion­i più importanti che dovrebbe limitare il suo potere».

Destra e sinistra Usa contrappon­gono due diverse visioni di patriottis­mo?

«C’è l’idea di Trump di un’america definita dai vecchi privilegi, dove un vero americano è bianco e forse anche maschio. Ora per la sinistra è fondamenta­le decidere come parlare dell’america in un contesto di ingiustizi­e razziali scioccanti e di lunga durata. Ci sono due risposte possibili. La prima è quella di Obama: riconoscia­mo le ingiustizi­e, ma diciamo anche che non definiscon­o cos’è l’america, il cui significat­o sta nel superarle per realizzare i principi fondatori. Questa forma di patriottis­mo inclusivo lo ha aiutato a vincere due volte. Ma un’altra strategia, sempre più influente nella sinistra americana, è di dire, al contrario, che le ingiustizi­e definiscon­o questa nazione, denunciand­o il patriottis­mo americano come razzista e inaccettab­ile. Questa sfortunata­mente non è una strategia vincente».

Il partito democratic­o vincerà nel 2020?

«Da due anni dibattono come fare: c’è chi vuole mobilitare la base e chi punta sui moderati come le donne bianche di periferia. Ma gli strateghi sbagliano a credere che la base sia un gruppo molto a sinistra, dominato da giovani donne di colore meno istruite, che in economia vuole il socialismo e ha richieste culturali radicali su gender e sessismo. In realtà questo gruppo non esiste. Ce ne sono due molto diversi: il primo di attivisti ricchi, bianchi, ben istruiti, radicali; l’altro di giovani donne di colore che vogliono un salario migliore, l’assicurazi­one medica, ma a cui non interessan­o il socialismo né i dibattiti culturali su Twitter. La sinistra vincerà se saprà mobilitare tutti con lo stesso messaggio, basato sulle somiglianz­e piuttosto che sulle differenze».

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Politologo Yascha Mounk, 36 anni, è l’autore di «Popolo vs Democrazia» (Feltrinell­i)

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