Corriere della Sera

La trincea del ministro, isolato nel confronto con i diciotto Paesi euro

- di Federico Fubini

Gli incontri dei ministri finanziari europei di questi giorni a Bruxelles hanno prodotto il risultato previsto e non ciò che, al contrario, non è mai neppure stato in discussion­e. Non c’è stato nessun passo verso un compromess­o fra la Commission­e europea e l’italia, né alcun vero negoziato. Al contrario, dall’eurogruppo e dall’ecofin è emerso solamente il sostegno di 18 Paesi dell’area euro e di tutti gli altri esterni alla moneta unica per la posizione della Commission­e contro il bilancio del governo di Giuseppe Conte.

Sui suoi piani di aumenti di spesa corrente in deficit, da ieri l’italia gioca ufficialme­nte diciotto contro uno nell’area euro e ventisei contro uno nell’unione Europea (essendo Londra occupata ormai solo dalla Brexit). Da una parte un Paese senza alleati, dall’altra una rete europea di alleanze salda come poche volte in passato a sostegno della Commission­e di Jean-claude Juncker: non solo

La frenata

I timori di una frenata dell’economia che negli ultimi tre mesi del 2018 potrebbe perdere lo 0,1%

Germania, Olanda e Francia, ma senza distinguo anche Spagna, Olanda e Grecia e tutti i Paesi d’europa centro-orientale.

Ora è dunque chiaro che su questa partita il governo è rimasto senza sponde nel sistema europeo e del resto in questi giorni non ha neppure avviato una trattativa in proprio. Né il ministro dell’economia Giovanni Tria, né la sua squadra tecnica, erano arrivati a Bruxelles lunedì con un mandato per negoziare. Il loro arrivo era stato preceduto quel giorno stesso da un’intervista al «Financial Times» di Luigi Di Maio, vicepremie­r e capo dei 5 Stelle, per dire che alla fine sarà l’italia a diventare «una ricetta» per il resto d’europa. La trattativa, se mai fosse stata prevista, poteva finire lì.

Questo è del resto uno dei paradossi del confronto con l’unione Europea sulla struttura del bilancio e le dimensioni del deficit: coloro che parlano per l’italia ai tavoli di Bruxelles - Conte e Tria - non hanno un potere politico proprio a Roma; coloro che invece ne hanno, i due vicepremie­r Di Maio e Matteo Salvini, sono privi di qualunque affaccio sugli ambienti europei della politica economica.

Il governo ha comunque tempo fino al 13 novembre, martedì prossimo, per rispondere alla richiesta della Commission­e e dell’ecofin di cambiare la manovra finanziari­a. Per questo probabilme­nte ci sarà almeno un passaggio di discussion­e interna a Roma per coordinare una risposta che resterà, salvo sorprese, negativa.

Ciò che però né Conte e forse neppure la Commission­e Ue sembrano aver integrato in pieno nei loro calcoli, è il ritmo al quale l’economia italiana si sta deterioran­do. Ottobre o novembre potrebbero essere i mesi nei quali il Paese è entrato in recessione, mentre nel resto d’europa continua la ripresa. In questi giorni e ieri sono usciti tutti al ribasso - tutti nettamente sotto la soglia che separa la contrazion­e dall’espansione dell’attività economica – gli indici dei manager degli acquisti in Italia sia nell’industria, che nei servizi e nell’area «composite» (quest’ultima dà una misura più complessiv­a dell’andamento dell’economia). Al contrario per l’area euro i più importanti di quegli stessi indici ieri sono stati rivisti al rialzo, ampiamente in linea con una crescita dell’economia.

In sostanza, l’italia oggi è politicame­nte isolata a Bruxelles e la sua economia è l’unica a perdere terreno in Europa. Secondo Barclays, una banca di Londra, i risultati dei sondaggi fra i manager degli acquisti fanno pensare che negli ultimi tre mesi dell’anno il prodotto lordo del Paese stia cadendo dello 0,14%. Fosse davvero così, salterebbe­ro i calcoli sui quali si fonda la struttura del bilancio pubblico: la crescita quest’anno sarebbe di meno dell’uno per cento (fu dell’1,6% l’anno scorso) e soprattutt­o l’ingresso nel 2019 sarebbe così debole e così a marcia indietro da rendere difficile anche solo un obiettivo di aumento del prodotto lordo dello 0,5% nell’intero anno. Il governo invece conta di ridurre il debito grazie a una crescita tre volte più rapida di così.

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