«Ormai con l’imu si è fatta chiarezza su chi deve pagare»
La Chiesa che conosco non vive per rivendicare un posto in prima classe: tanto più in un tempo nel quale molte famiglie stentano e una generazione fatica a entrare nel mondo del lavoro
Che ne dice, eccellenza?
«Se devo essere sincero, come Chiesa italiana contavamo che la partita fosse stata chiusa sei anni fa, con l’introduzione dell’imu. Quell’imposta distingueva in modo chiaro, esentando gli immobili in cui gli enti non commerciali — compresi quelli ecclesiastici — svolgono attività senza alcuna finalità di lucro». Il vescovo Stefano Russo, da un mese Segretario generale della Cei, lo ha chiarito subito: «Chi svolge un’attività commerciale — ad esempio di tipo alberghiero — è tenuto come tutti a pagare i tributi, senza eccezioni né sconti. Detto questo, è necessario distinguere la natura delle attività».
Finiscono i privilegi?
«Se si trattasse di privilegi, non avrei alcuna preoccupazione. La Chiesa che conosco non vive per rivendicare un posto in prima classe: tanto più in un tempo nel quale molte famiglie stentano e una generazione fatica a entrare nel mondo del lavoro».
Ma questa sentenza?
«Anzitutto, vi leggo il riconoscimento per le attività svolte da tanti enti della Chiesa. Conferma la correttezza dell’imu: l’esenzione per certe attività non distorce la concorrenza e quindi non può configurarsi come aiuto di Stato. Piuttosto conviene allo Stato, poiché sostiene servizi a beneficio di tutti».
A cosa si riferisce?
«A innumerevoli opere di solidarietà, mense per i poveri, spazi parrocchiali e, attraverso le scuole paritarie, ambienti in cui si offre un contributo educativo o formativo. E ancora oratori, campi da gioco, attività ricreative, culturali, sanitarie e assistenziali: spazi aperti a tutti».
E il recupero dell’ici?
«Le autorità italiane avevano dimostrato che sarebbe stato di fatto impossibile. Ora la Corte rileva che la Commissione avrebbe dovuto condurre una verifica più minuziosa. Vedremo cosa decideranno di fare le istituzioni».
Il Papa è stato durissimo sugli alberghi dei religiosi che non pagano le tasse...
«E noi siamo d’accordo, se pensiamo a strutture che dietro al paravento “religioso” nascondono un’attività commerciale a tutti gli effetti. Chiarezza, trasparenza e correttezza nella gestione dei beni — compreso il pagamento delle imposte — sono principi basilari su cui si gioca la credibilità di ogni istituzione. Vale a maggior ragione per la Chiesa: la sua missione non ammette zone d’ombra, ma richiede una testimonianza esemplare».