AMBIENTE, IL MINISTERO: NO A PRESTITI DALLA BEI MA I CONTI NON TORNANO
In epoca di sovranismo e Europa matrigna, quando capita una calamità delle due l’una: o si dà la colpa alla Ue, come fece il vicepremier Salvini nel giorno in cui cadde il ponte Morandi («Se ci sono vincoli europei che ci impediscono di mettere in sicurezza le autostrade dove viaggiano i nostri lavoratori – disse – metteremo davanti a tutto la sicurezza degli italiani»); oppure, per non avere debiti di gratitudine con Bruxelles, si fa tutto da soli. Sergio Costa, ministro dell’ambiente pentastellato, di fronte ai danni per i nubifragi di questi giorni è parso optare per la seconda strada: non abbiamo bisogno di nessuno. In una lettera alla Stampa di qualche giorno fa, il politico vicino al vicepremier Luigi Di Maio ha manifestato diffidenza all’idea di attivare un prestito già disponibile della Banca europea degli investimenti. Si è chiesto: «Quale padre di famiglia, potendo avere soldi in casa, preferisce indebitarsi con un mutuo?». A maggior ragione perché gli interessi «sarebbero stati pagati da tutti i cittadini». Appunto. Quei fondi da 800 milioni della Bei per prevenire il rischio idrogeologico in undici regioni del Centro-nord, con progetti su decine di aree poi devastate in questi giorni, avrebbero già dovuto essere attivi. Non lo sono per alcuni incomprensibili ritardi ai piani alti del ministero dell’ambiente, quando il governo di Paolo Gentiloni era già in uscita. Ora il grillino Costa invoca i costi da interessi, dunque facciamo due conti: quello è un prestito europeo a vent’anni allo 0,70%; se l’italia facesse sovranamente da sola pagherebbe sul mercato il 3,80, una differenza di 248 milioni in più. Con quella somma, per dire, si costruirebbero 35 mila aule scolastiche nuove per quasi un milione di studenti. Non a caso sembra che ora Costa stia ripensando all’offerta europea ( forse). Non ci sarebbe niente di male. In fondo anche Salvini ha dovuto smettere di incolpare l’europa per il ponte di Genova.
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