TUTTI I MALI DI ROMA CAPITALE
Il saggio di Vittorio Emiliani
Vittorio Emiliani, da antico giornalista di vaglia ed ex direttore («Il Messaggero» anni Ottanta) ha il gusto della titolazione. Il suo ultimo libro dedicato alla dissestata città-chiave del nostro Paese (Roma Capitale malamata, il Mulino, pagine 290, 16) conia per il titolo un geniale aggettivo, malamata: anagrammandolo si ottiene «ammalata». Roma, è la tesi del saggio, è una Capitale male amata dal Paese che dovrebbe rappresentare, e da sempre priva di adeguate leggi speciali. Oggi è più che mai ammalata per quel mancato amore, già testimoniato nel 1870 dal «sì striminzito», lo definisce Emiliani, tributato da Camera e Senato del Regno alla proclamazione a Capitale, 94 sì e 39 no. Il saggio parte da lì e approda ai nostri amari tempi: ma sarebbe ridicolo ridurlo a un banale j’accuse contro la giunta Raggi e i suoi fallimenti. Emiliani imbocca un dettagliato itinerario storico per analizzare cosa abbia prodotto, dal 1870 a oggi, il disastro romano. Il gusto del racconto e della polemica è sostenuto da una sterminata — a tratti sbalorditiva — mole di cifre, dati, documentazioni storiche e citazioni aneddotiche. Roma diventa Capitale con appena 256 mila abitanti reali su 226 mila residenti quando Londra ne ha 3.3 milioni e Parigi 1.9: e «una metà della popolazione risulta ancora a carico di un’assistenza pubblica e privata composta da Opere pie» diverse ma tutte figlie economiche della teocrazia papalina, «il 40-41% dei residenti non sa né leggere né scrivere». Però è «una Capitale stretta, a volte soffocata, da tante aspettative, anche internazionali». Uno dei problemi (il tema è ricorrente, a volte forse troppo) è per Emiliani la presenza della Chiesa («ancora oggi è in assoluto la più grande proprietaria di suoli e immobili nella Capitale») vista come protagonista di grandi speculazioni e di costanti interventi nella vita politica.
Il film storico parte dal 1870 con «la frenesia immobiliare, tra Vaticano e nobiltà nera», poi la Roma «moderna e laica del Blocco del popolo». E l’impressionante analisi del Mussolini urbanista (la lezione di Antonio Cederna è volutamente evidente) che fa di Roma «lo scenario monumentale del nuovo Impero, piegata, forzata con una violenza inaudita a un ruolo che ne stravolge ancora più i connotati storici». Quindi l’imperdonabile esilio forzato dei ceti più popolari dai rioni storici sotto le giunte dc, la speculazione onnivora, «la grande inchiesta su l’“espresso” alla fine del 1955 (“Capitale corrotta, nazione infetta”), le campagne di Antonio Cederna (“i vandali in casa”)». Seguendo Emiliani, insomma, emerge l’immagine di una città unica al mondo costretta in trincea a difendersi dal fuoco pseudoamico dei tanti Poteri del proprio stesso Paese. Di grande interesse il capitolo dell’incomprensione tra Roma e tanti, troppi intellettuali (Emiliani cita il celeberrimo «Roma è morte» di Mario Soldati). Poi le giunte di fine Novecento, lo scollamento (sottovalutato) tra progressisti e periferie, i casi di Gianni Alemanno e Ignazio Marino, «la fragile e inadeguata» giunta Raggi di oggi. Durissime le critiche alla riforma Franceschini accusata di aver sminuzzato e depotenziato la tutela nell’area archeologica e in tutta la città. Conclude Emiliani: «Da un decennio Roma non è realmente studiata, ascoltata e governata, e dal lassismo, dall’aperta illegalità, dallo sgoverno è arduo rientrare tra i paletti. Oggi va avanti come può». L’ultima immagine sono i gabbiani-spazzini tra i rifiuti sotto il Campidoglio. Chi ama Roma prova angoscia.