UN FUTURO DA RINCORRERE
L’appuntamento Oggi a Milano il Deloitte Innovation Summit. Sul tavolo alcune eccellenze: nautica, cibo, manifatturiero. In esclusiva qui una ricerca sulla percezione degli italiani: conosciamo la tecnologia ma non la usiamo abbastanza L’INNOVAZIONE AVANZ
Chiamatela, se volete, la dittatura del microciclo. È tuttavia un fatto che, dall’irrompere sulla scena di due fatti diversamente eppure egualmente clamorosi come la commercializzazione del primo iphone (29 giugno 2007) e il fallimento di Lehman Brothers (15 settembre 2008), e quindi dall’inizio di quella che il filosofo Luciano Floridi chiama iperstoria, i cambiamenti del contesto economico e sociale non siano più in alcun modo prevedibili. In sintesi: non sappiamo più dove stiamo andando.
«L’innovazione e la digitalizzazione dell’economia sono divenuti fenomeni talmente complessi da lasciare aperta una serie di interrogativi cui ancora oggi non troviamo risposte — spiega l’innovation Leader di Deloitte Italia, Andrea Poggi —. Un recente studio di Dell rileva che, a livello globale, circa il 50% dei dirigenti non sa come cambierà il proprio settore da qui a tre anni, il che ci porta a un’altra considerazione: non siamo sempre in grado di cogliere l’utilità delle nuove scoperte».
Ecco perché la società di consulenza ha promosso un’indagine demoscopica con l’obiettivo di indagare come i cittadini e gli imprenditori europei stiano percependo l’accelerazione impressa dalla new economy al nostro vissuto quotidiano su alcuni settori come il food, la manifattura e la nautica (lo scorso anno il focus si era invece indirizzato verso moda, turismo e automotive). «Dallo studio — ragiona Luigi Onorato, Partner Deloitte e curatore della ricerca — emerge innanzitutto un disallineamento fra le direttrici dell’innovazione e i bisogni reali del Paese. Due esempi per capirci: il 75% del nostro campione conosce il food delivery (cioè i servizi tipo Justeat, Foodora o Deliveroo, ndr), ma solo il 25% li utilizza realmente; mentre il 79% degli imprenditori da noi intervistati è consapevole delle possibilità offerte dall’automazione robotica, eppure solo il 34% le utilizzerebbe nella propria azienda».
Risposte, queste, che per Poggi portano alla conclusione che non tutto il portato dell’innovazione, il quale spesso è targato Silicon Valley, può attagliarsi perfettamente a qualsivoglia contesto socioeconomico: «Dobbiamo sforzarci di selezionare l’innovazione giusta, quella cioè che chiede il Paese e i suoi attori produttivi per creare più occupazione, sviluppo e benessere. Noi crediamo che in Italia il contributo che potremmo ottenere dalla stessa innovazione sarebbe molto più significativo e potrebbe portare il Paese ad una crescita annua, per i prossimi
L’esempio
Il 75% del campione conosce il food delivery ma solo il 25% usa davvero questi servizi
4 anni, sino ad oltre due volte rispetto a quanto oggi previsto. Per farlo, tuttavia, bisogna concentrarsi sui settori in cui l’italia può dire qualcosa a livello globale, vale a dire appunto moda, turismo, automotive, food, manifattura e nautica spingendo lì il potenziale disruptive dei migliori talenti». Ed è qui che l’indagine demoscopica viene in aiuto. «Gli italiani — interviene Onorato —, quando si parla di food, di manifattura e di nautica, riconoscono che il nostro Paese è e rimane un’eccellenza (l’italia ha il primato dei prodotti certificati di qualità per un controvalore di 130 miliardi di euro, il 49% degli yacht di lusso provengono da cantieri italiani e su Industria 4.0 abbiamo forse la normativa più avanzata d’europa, ndr), anche se dimostrano la consapevolezza del rapido cambiamento di scenario in corso: che cioè la nostra tradizione non sia al sicuro rispetto all’incedere della Cina e degli altri Paesi asiatici. Ecco dunque che per essere più competitivi la stragrande maggioranza del campione riconosce che la capacità di innovare prodotti, servizi, processi e offerte sul mercato sarà fondamentale».
Come? Imprenditori e cittadini anche su questo quesito sembrano avere le idee piuttosto chiare: «La sfida dell’innovazione, per oltre il 50% del campione intervistato, si vince in primo luogo grazie al giusto connubio fra ricerca universitaria e imprenditorialità e, in secondo luogo, attraverso una politica che sia di stimolo grazie anche alla semplificazione normativa» prosegue Onorato.
Tenta una sintesi conclusiva Andrea Poggi: «Il valore dei nostri asset è talmente grande, e la consapevolezza di quale opportunità rappresenti l’attuale contesto è talmente forte, che il mondo imprenditoriale italiano ha l’opportunità di cogliere il valore dell’innovazione attraverso un approccio che combini pragmatismo e creatività». Ecco la scommessa da vincere al tempo dell’iperstoria.