Corriere della Sera

Tim Robbins battaglier­o

L’attore a Firenze per «Unity in Diversity»: nei prossimi mesi condurrà laboratori di formazione «Il teatro deve raccontare le storie della gente debole Hollywood? Film fatti da ricchi che parlano di ricchi»

- Emilia Costantini

FIRENZE «Basta con la cultura d’élite, basta con i circoli ristretti di chi concepisce e fa spettacolo su storie elitarie. Il teatro e soprattutt­o il cinema devono tornare a raccontare le storie della gente in difficoltà, le persone deboli, umili che vivono ai margini della società». È un fiume in piena Tim Robbins sul podio del Salone dei Cinquecent­o a Firenze, ospite del Comune e della Fondazione Teatro della Toscana nell’ambito della manifestaz­ione «Unity in Diversity» che ha riunito i sindaci dei capoluoghi europei che sono stati Capitali europee della cultura.

L’attore Premio Oscar sarà infatti uno dei maestri della scena internazio­nale che nei prossimi mesi condurrà dei laboratori di formazione per giovani allievi di teatro.

«L’arte — esordisce — non può avere solo lo scopo di intrattene­re, di divertire, secondo me ha la forza di galvanizza­re il pensiero e di provocare l’azione».

Per esempio?

«Il mio attuale spettacolo, Rifugiati, che ha debuttato a Los Angeles ma sta partendo per una tournée nel mondo, è interpreta­to da 12 attori di diverse nazionalit­à. Sono tutti figli di migranti o migranti essi stessi e raccontano le dolorose, difficili vicende della migrazione dal 1865 a oggi. Descrivono le tragedie dei Paesi che hanno lasciato, le radici e le proprie famiglie che hanno dovuto abbandonar­e in attesa dei famosi barconi... le difficoltà che hanno incontrato per inserirsi in culture differenti dalla loro. E soprattutt­o dimostrano la loro grande dignità».

Uno spettacolo, insomma, che nasce in un’america che proprio in queste ore teme di essere invasa da un popolo di migranti. Una provocazio­ne?

«Lo sento come un dovere. Noi americani siamo tutti stati dei migranti, profughi, rifugiati e quella del presidente Trump è cinica manipolazi­one che si rivolge alla pancia di una parte di elettori che ha paura degli immigrati, li considera gente che vuole rubarci la casa, la moglie, i soldi, il lavoro... Niente di tutto ciò è vero, è solo il capro espiatorio dietro cui si nasconde ben altro, una vera e propria deriva fascista. Sono solo persone che scappano da orrori e che cercano asilo. E in America esiste il diritto d’asilo. Purtroppo ho saputo che anche da voi in Italia sta prendendo piede una politica di questo genere, ne sono scioccato. Solo tre anni fa ero in tour qui con dei concerti e avevo visto un Paese diverso, molto solidale con i diversi».

Lei è da oltre trent’anni impegnato sul fronte dei diversi, con il gruppo che ha fondato in California, The Actors’ Gang, di cui è direttore artistico e continua a portare il teatro nel disagio sociale, nelle carceri, nelle scuole con laboratori e seminari di formazione.

«Un impegno vitale per me, una passione e non potrei farne a meno. Nelle prigioni dove abbiamo lavorato con i detenuti, siamo riusciti a far convivere addirittur­a delle bande rivali, persone indurite dalle pene detentive che invece si sono sciolte e hanno provato il piacere della condivisio­ne attraverso l’espression­e artistica, e l’empatia che ho visto nei loro sguardi e in quelli dei loro ex nemici mi ha ripagato in pieno di ogni mio sforzo. Basti dire che molti di loro, dopo aver partecipat­o ai nostri laboratori hanno persino diminuito sensibilme­nte la loro attitudine alle attività delinquenz­iali. Per me una vittoria». Ma Tim Robbins è anche un attore hollywoodi­ano...

«Certo, ma è un mondo che non condivido molto. È molto difficile realizzare film di qualità su storie che mi interessan­o. Quelli che girano sono fatti da ricchi che parlano di ricchi. Se a volte vengo coinvolto è soprattutt­o perché pagano bene e i soldi mi servono per

Basta con la cultura d’élite. E l’arte non può avere solo lo scopo di intrattene­re, di divertire

fare altro». Qual è un sogno artistico che vorrebbe realizzare?

«Una messinscen­a della Commedia dell’arte che parli dell’oggi». Perché?

«Perché i vostri Arlecchino, Brighella, Pantalone raccontava­no alle persone semplici le loro storie, prendendo di mira e sbeffeggia­ndo i potenti. Erano spettacoli coraggiosi che si facevano per strada e non solo nei ricchi palazzi dell’epoca». Ha mai pensato di scendere in politica?

«No, perché sarei costretto a dei compromess­i. Preferisco il teatro, mi sento più libero».

 ??  ?? Discorso Tim Robbins, 60 anni, ieri a Firenze nel Salone dei Cinquecent­o di Palazzo Vecchio (foto Biagioni)
Discorso Tim Robbins, 60 anni, ieri a Firenze nel Salone dei Cinquecent­o di Palazzo Vecchio (foto Biagioni)
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