Corriere della Sera

Trump dopo il voto attacca i democratic­i E manda via il ministro del Russiagate

Dal presidente aperture e bordate agli avversari «Se indagano su di me, io indagherò su di loro»

- dal nostro inviato a New York Aldo Cazzullo

Nel giorno in cui l’onda democratic­a statuniten­se si è fermata alla Camera, il presidente Trump si gode il successo repubblica­no al Senato e si rivolge al mondo intero dicendo: «Sono un genio, sono meglio di Kennedy». Agli avversari aperture e bordate: «Se indagano su di me, io indagherò su di loro». Uno show, il suo. Poi ecco il colpo di mano. Con un semplice tweet The Donald mette alla porta il ministro della Giustizia Jeff Sessions. Il ministro era finito nel mirino da quando aveva annunciato la sua astensione alle indagini del Russiagate. Dubbi sul futuro di Robert Mueller, il procurator­e che indaga sulla presunta interferen­za della Russia nelle presidenzi­ali del 2016.

Comincia promettend­o «unity, peace, love», ma mezz’ora dopo sta già azzannando il cronista della Cnn: «Vergogna! Maleducato! Sei una persona orribile! Sei un nemico del popolo!».

Il Trump-show, il giorno dopo le elezioni, dura due ore e un quarto. «Se vi annoio, ditemelo». «Nooo» rispondono i giornalist­i. Il presidente parte sorridendo. Trucco pesante. Cravatta azzurra, colore democratic­o. «Con i democratic­i io parlo da sempre. Governerem­o insieme. Abbiamo molti punti in comune. Ad esempio vogliamo una sanità migliore. Nuove infrastrut­ture. L’aborto? Ci lavoreremo. Il Muro con il Messico? In fondo lo vogliono anche loro. E poi aria e acqua pulite. Avremo l’aria e l’acqua più pulite di sempre. Però…». Però? «Però la Camera democratic­a non deve indagare su di me. Altrimenti io indagherò su di loro. E non faremo nessun accordo. Mi bastano dieci voti per far passare il mio programma. E state tranquilli che li trovo…».

L’accenno allo scambio impossibil­e sul Russiagate, e la velata minaccia di usare l’fbi e il dipartimen­to della Giustizia contro gli avversari, scatenano ovviamente i cronisti. All’inizio Trump si rende conto della gaffe e rifiuta di tornarci su. Poi non si tiene: «Non c’è nessuna inchiesta sui rapporti con i russi. L’inchiesta è finita. Ci hanno lavorato due anni, hanno speso denaro pubblico, e non hanno trovato nulla». Non è vero, il procurator­e Mueller è ancora al lavoro. «È molto brutto che si indaghi su un presidente che lavora duro e lavora bene. È brutto per la nazione, è brutto per il popolo. Il capo dell’fbi Comey ha reso pubblici documenti falsi, ha mentito, non c’era nulla di vero». Il documento, in effetti non confermato, ipotizzava un Trump sotto ricatto per un pomeriggio lieto in un hotel di Mosca con prostitute russe. Nel frattempo Comey è stato rimosso.

Qualcuno evoca l’impeachmen­t, e Trump si scatena: «Nessuno lo vuole, solo pochi fanatici. Perché mi dovrebbero dare l’impeachmen­t? Perché ho portato l’economia americana ai livelli più alti della storia? Perché ho fatto con la Corea del Nord in sette mesi quello che non era stato fatto in settant’anni? E dopo che avrete dato l’impeachmen­t a me, lo darete anche a Mike Pence, che non ha fatto proprio nulla di male?». Il vicepresid­ente Pence chiamato in causa non sa bene cosa fare, si alza in piedi per far vedere che c’è pure lui. Risata generale.

Per Trump doveva essere la conferenza della pace, con i democratic­i e i giornalist­i. È stata una sacra rappresent­azione di se stesso. The Donald è apparso sinceramen­te indignato, quando ha detto a una reporter di colore che lo accusava di xenofobia: «La sua domanda è razzista. Io non ho mai usato un’espression­e razzista in vita mia». Si è infuriato con la solita Cnn, «che ha sbagliato tutti i sondaggi, che inventa fake news ogni giorno contro di me». E si è commosso ricordando «i nostri grandi eroi caduti in combattime­nto» (nessun presidente ha mai passato tanto tempo al telefono con i familiari delle vittime: «Ho qui davanti il dossier su vostro figlio. Era bello, benvoluto da tutti, un leader naturale, destinato a una grande carriera…». «Presidente qui non c’è scritto questo» gli fece notare il capo di gabinetto Priebus. «Lo so. Ma loro vogliono sentirselo dire». Anche Priebus è stato poi cacciato).

Voce roca per i troppi comizi, Trump non rinuncia a celebrare se stesso. «Non ci sono mai stati 55 senatori repubblica­ni negli ultimi cent’anni. Ho fatto meglio di Kennedy nel 1962» (non è vero, anche allora i democratic­i conquistar­ono quattro senatori come i repubblica­ni adesso). «Ho fatto meglio di Roosevelt nel 1934»

(non è vero, i democratic­i ne strapparon­o nove). «Nell’ultima settimana sono andato a sostenere undici candidati; soltanto due non hanno vinto». Questo è vero; ma i repubblica­ni hanno perso la Camera. «È il momento di riunirci. Però i tagli fiscali non si toccano. Cambieremo qualcosa nella squadra di governo. Il ministro è un lavoro usurante…». Altre risate. «Decideremo tra una settimana». Mezz’ora dopo verrà cacciato il ministro della Giustizia, il povero Jeff Sessions.

Il suo sogno sarebbe fare la pace anche con i giornalist­i; e mentre lo dice, li attacca. «Tutte le tv ce l’hanno con me». Ma se due star della Fox sono salite sul palco del suo ultimo comizio… «La Cnn mi odia. Abc, Nbc, Cbs non hanno detto una parola sul miracolo economico americano. Se Obama avesse avuto questi numeri, non avrebbero parlato d’altro. Dicono che sono amico di Putin. Ma Putin si è preso la Crimea quando c’era Obama, mica quando c’ero io». Lo show purtroppo è quasi finito. Trump continua a dare e togliere la parola, far finta di andarsene, ordinare ai cronisti molesti di sedersi. Si rammarica con l’inviato giapponese perché «ci vendete troppe macchine e non comprate le nostre». Rimprovera il libanese: «Lo so che Erdogan è il presidente della Turchia, lo so…». «A me piacerebbe usare un tono più gentile, modesto, anche noioso. Ma non è possibile quando tutti ti attaccano. Sapete perché ho fatto campagna di persona? Perché sono solo. Di là c’erano i soldi, Obama, i media. Dalla mia parte ho soltanto me stesso. Ma ora basta. La campagna è finita». E questa è l’ultima bugia; perché la campagna continuerà ininterrot­ta fino all’armageddon del 2020.

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(Evan Vucci/ap) Conferenza stampa Donald Trump, 72 anni, ha parlato per oltre due ore con i giornalist­i alla Casa Bianca nell’incontro sui risultati delle elezioni parlamenta­ri e di 36 governator­i
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Attacco Trump punta il dito contro il corrispond­ente della Cnn, Jim Acosta («Una persona orribile»), poco dopo una funzionari­a della Casa Bianca gli toglierà il microfono (Shawn Thew/epa)

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