Corriere della Sera

Tutti i dubbi dell’opposizion­e

Il Congresso è diviso, ma il tycoon incassa l’obbedienza assoluta dei conservato­ri Inizia un nuovo capitolo per la Casa Bianca

- di Giuseppe Sarcina

Il Congresso diviso, il tycoon «bocciato» dal popolo, l’obbedienza assoluta dei conservato­ri. Un nuovo capitolo per Donald Trump. Tutti i dubbi dell’opposizion­e.

WASHINGTON «È una grande vittoria, anzi per essere onesto, una vittoria quasi completa». Donald Trump legge il voto del midterm in una lunga conferenza stampa in cui, però, nasconde la notizia di giornata: le dimissioni del ministro della Giustizia, Jeff Sessions. Dopo averlo accusato e anche insultato per averlo lasciato solo nell’inchiesta sul Russiagate, Trump ha chiesto e ottenuto la rinuncia di Sessions.

Il presidente potrà ora scegliere un sostituto con meno problemi di ratifica al Senato, dove il partito repubblica­no potrebbe aumentare la maggioranz­a di 3-4 seggi, arrivando a occuparne 54 su 100. I conservato­ri, invece, hanno perso malamente la Camera dei deputati. Qui i democratic­i potrebbero superare di slancio la soglia della maggiopido: ranza di 218, salendo fino a 235 parlamenta­ri.

Trump, in versione pragmatica, ne prende atto, accogliend­o la proposta della leader democratic­a Nancy Pelosi: collaboria­mo nell’interesse del Paese. Con un avvertimen­to: se le Commission­i di inchiesta della Camera indagheran­no, per esempio, sulla dichiarazi­one fiscale del presidente, non ci saranno accordi.

In realtà questo esito politico discende direttamen­te dall’analisi del voto. Il «nazionalis­ta» Trump è stato bocciato dallo stesso popolo che aveva invocato e che si è mobilitato in modo massiccio. Il 6 novembre 114 milioni di cittadini si sono presentati alle urne, contro i 138 milioni del 2016. Alla Camera i democratic­i hanno vinto con un margine del 4%. Anche al Senato il segnale del voto popolare è lim- 45,8 milioni di preferenze per i democratic­i (56,9%) e 33,3 milioni per i repubblica­ni (41,5%).

La mappa del midterm segnala cambiament­i importanti. I democratic­i ritornano in forze negli «Stati della rabbia»: Pennsylvan­ia soprattutt­o, poi Michigan e Wisconsin, conquistat­i a sorpresa da Trump nel 2016. Ma cominciano a radicarsi in modo convincent­e anche in pieno territorio repubblica­no, nel Sud, nel West. L’esempio più vistoso è il Texas. Qui il personaggi­o copertina del midterm, Beto O’ Rourke, non è riuscito, per un punto percentual­e, a battere il repubblica­no Ted Cruz, ma i progressis­ti prevalgono in 13 distretti su 36. In particolar­e dominano nella fascia sul confine: da El Paso, la città di O’rourke, fino a Laredo. Proprio dove la Casa Bianca ha inviato circa 5 mila soldati per fronteggia­re la carovana dei migranti.

Il Paese ha accentuato le sue divisioni demografic­he e geopolitic­he. Le zone rurali e dell’america profonda ai repubblica­ni, le aree metropolit­ane ai democratic­i. L’esperienza, però, dimostra che gli equilibri sono molto fluidi. Da qui al 2020 Trump può recuperare negli Stati industrial­i del Nord. Nello stesso tempo, non può dare per scontato l’appoggio della Florida dove Rick Scott e Ron De Santis hanno superato di strettissi­ma misura i rivali in gara per il Senato e per il posto da governator­e. Persino in Georgia si è mosso qualcosa, come dimostra il buon esito della democratic­a Stacey Abrams, sconfitta per circa due punti.

La grande partecipaz­ione delle donne e il movimento «Metoo» hanno contribuit­o a spostare i rapporti di forza. Con un limite evidente, tuttavia, su cui la leadership democratic­a dovrà riflettere. Le senatrici moderate Claire Mccaskill in Missouri e Heidi Heitkamp, in North Dakota, sono state travolte. È possibile che abbiano davvero pagato il «no» alla nomina alla Corte Suprema del giudice Brett Kavanaugh, accusato di abusi sessuali. Il movimento «Metoo» si è dissolto nelle grandi praterie oltre il Mississipp­i.

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