Corriere della Sera

La rabbia del leader leghista, i sospetti sulle scelte dell’alleato

«Non mi rovinano la festa». Perché la Lega teme il «massimalis­mo» M5S

- Di Marco Cremonesi Monica Guerzoni

ROMA Molto stanco, molto felice, molto arrabbiato. «Questa giornata è troppo bella per me, Di Maio e compagni non riuscirann­o a rovinarmel­a», si sarebbe sfogato Matteo Salvini durante il tour de force di ieri tra Senato, Viminale e Palazzo Chigi. Euforico per aver annunciato in conferenza stampa il taglio dei 35 euro per l’accoglienz­a ai migranti e portato a casa il primo via libera al decreto Sicurezza («Ore 12.19, il Senato approva!!! #Decretosal­vini, giornata storica»), il vicepremie­r leghista si è sentito bersaglio del fuoco amico. E i suoi si indignano: «Hanno provato in tutti i modi a oscurare un successo politico concreto e oggettivo». Ma sul tema incandesce­nte di giornata, la prescrizio­ne, il vicepremie­r avrebbe detto di non voler mollare: «Così è indigeribi­le». Forte anche del parere del presidente Anm Francesco Minisci.

Il tema sensibilis­simo della giustizia ha diviso i vicepremie­r e creato un solco tra i gruppi parlamenta­ri. Il sì alla fiducia sul decreto Salvini è andato in scena in assenza di Luigi Di Maio, a conferma dell’ondata di gelo calata tra il Carroccio e il Movimento. Il vertice di maggioranz­a è saltato, Salvini ha rivoluzion­ato l’agenda per riportare al centro del dibattito le sue «vittorie» e i rispettivi spin doctor non hanno registrato contatti tra i leader. Soltanto alcune rapide telefonate più di cortesia che di sostanza tra Salvini e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Il vicepremie­r leghista non è andato neppure al previsto vertice sulla Libia facendosi sostituire, previa telefonata al premier Conte, dal capo di gabinetto del Viminale Matteo Piantedosi. Prima di chiudere la giornata pubblica sdrammatiz­zando: «Il mio obiettivo è arrivare a Betis—milan senza litigare».

Parole che stemperano l’irritazion­e di Salvini, il quale però pare stanco, riferiscon­o, «dei continui strappi e delle provocazio­ni» dei grillini. E sospetta che Di Maio — stressato dai sondaggi che lo danno in costante calo rispetto alla Lega e pressato dalle incursioni di Di Battista — si vada convincend­o della necessità di staccare la spina. Anche per questo, a chi gli chiede se si rischi il voto a marzo, Salvini lo ripete ancora una volta: «Assolutame­nte no. Quando prendo un impegno lo faccio fino in fondo e per rispettare gli impegni servono 5 anni. Non faccio saltare i governi perché i sondaggi dicono che la Lega è primo partito». In ogni caso, nota distensiva, assicura che «quando io e Di Maio ci sentiamo, risolviamo in mezz’ora».

La miccia della prescrizio­ne però resta accesa. Nel merito, Salvini mette la questio- ne in questi termini: «Io i delinquent­i li voglio in galera, se qualcuno ha dubbi anche su questo… Ma i processi devono essere fatti in fretta, quelli senza fine sono un favore ai delinquent­i e una condanna per le vittime». Sul metodo, Salvini è convinto che la prescrizio­ne non sia tema adatto per il decreto anti corruzione. E in serata, ospite di La7 a «Otto e mezzo», lo dice chiaro: «La riforma della prescrizio­ne ci sta, ma in un disegno di riforma complessiv­a della giustizia».

Il tema tra l’altro, incrocia la politica. Alcuni leghisti sono convinti che le «formulazio­ni massimalis­te» dei 5 Stelle nel decreto anti corruzione si prestino, «tra processi senza fine e interdizio­ne perpetua dai pubblici uffici», a diventare uno strumento di «sfoltiment­o giacobino degli avversari». Ma, al di là dei dubbi, è proprio il clima a essersi deteriorat­o. Un esempio? Ieri è stata sollecitat­a la Giunta per il Regolament­o della Camera a prendere posizione sull’ammissibil­ità dell’emendament­o sulla prescrizio­ne. In realtà, i leghisti erano già orientati a dare il via libera come segno di buona volontà, in attesa del chiariment­o tra i leader. Eppure, nel clima di diffidenza reciproca, si è reso necessario il passo formale: «La verità è che possiamo anche far finta di lavorare sul resto, ma lo scoglio della prescrizio­ne lo rende quasi impossibil­e».

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