La rabbia del leader leghista, i sospetti sulle scelte dell’alleato
«Non mi rovinano la festa». Perché la Lega teme il «massimalismo» M5S
ROMA Molto stanco, molto felice, molto arrabbiato. «Questa giornata è troppo bella per me, Di Maio e compagni non riusciranno a rovinarmela», si sarebbe sfogato Matteo Salvini durante il tour de force di ieri tra Senato, Viminale e Palazzo Chigi. Euforico per aver annunciato in conferenza stampa il taglio dei 35 euro per l’accoglienza ai migranti e portato a casa il primo via libera al decreto Sicurezza («Ore 12.19, il Senato approva!!! #Decretosalvini, giornata storica»), il vicepremier leghista si è sentito bersaglio del fuoco amico. E i suoi si indignano: «Hanno provato in tutti i modi a oscurare un successo politico concreto e oggettivo». Ma sul tema incandescente di giornata, la prescrizione, il vicepremier avrebbe detto di non voler mollare: «Così è indigeribile». Forte anche del parere del presidente Anm Francesco Minisci.
Il tema sensibilissimo della giustizia ha diviso i vicepremier e creato un solco tra i gruppi parlamentari. Il sì alla fiducia sul decreto Salvini è andato in scena in assenza di Luigi Di Maio, a conferma dell’ondata di gelo calata tra il Carroccio e il Movimento. Il vertice di maggioranza è saltato, Salvini ha rivoluzionato l’agenda per riportare al centro del dibattito le sue «vittorie» e i rispettivi spin doctor non hanno registrato contatti tra i leader. Soltanto alcune rapide telefonate più di cortesia che di sostanza tra Salvini e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Il vicepremier leghista non è andato neppure al previsto vertice sulla Libia facendosi sostituire, previa telefonata al premier Conte, dal capo di gabinetto del Viminale Matteo Piantedosi. Prima di chiudere la giornata pubblica sdrammatizzando: «Il mio obiettivo è arrivare a Betis—milan senza litigare».
Parole che stemperano l’irritazione di Salvini, il quale però pare stanco, riferiscono, «dei continui strappi e delle provocazioni» dei grillini. E sospetta che Di Maio — stressato dai sondaggi che lo danno in costante calo rispetto alla Lega e pressato dalle incursioni di Di Battista — si vada convincendo della necessità di staccare la spina. Anche per questo, a chi gli chiede se si rischi il voto a marzo, Salvini lo ripete ancora una volta: «Assolutamente no. Quando prendo un impegno lo faccio fino in fondo e per rispettare gli impegni servono 5 anni. Non faccio saltare i governi perché i sondaggi dicono che la Lega è primo partito». In ogni caso, nota distensiva, assicura che «quando io e Di Maio ci sentiamo, risolviamo in mezz’ora».
La miccia della prescrizione però resta accesa. Nel merito, Salvini mette la questio- ne in questi termini: «Io i delinquenti li voglio in galera, se qualcuno ha dubbi anche su questo… Ma i processi devono essere fatti in fretta, quelli senza fine sono un favore ai delinquenti e una condanna per le vittime». Sul metodo, Salvini è convinto che la prescrizione non sia tema adatto per il decreto anti corruzione. E in serata, ospite di La7 a «Otto e mezzo», lo dice chiaro: «La riforma della prescrizione ci sta, ma in un disegno di riforma complessiva della giustizia».
Il tema tra l’altro, incrocia la politica. Alcuni leghisti sono convinti che le «formulazioni massimaliste» dei 5 Stelle nel decreto anti corruzione si prestino, «tra processi senza fine e interdizione perpetua dai pubblici uffici», a diventare uno strumento di «sfoltimento giacobino degli avversari». Ma, al di là dei dubbi, è proprio il clima a essersi deteriorato. Un esempio? Ieri è stata sollecitata la Giunta per il Regolamento della Camera a prendere posizione sull’ammissibilità dell’emendamento sulla prescrizione. In realtà, i leghisti erano già orientati a dare il via libera come segno di buona volontà, in attesa del chiarimento tra i leader. Eppure, nel clima di diffidenza reciproca, si è reso necessario il passo formale: «La verità è che possiamo anche far finta di lavorare sul resto, ma lo scoglio della prescrizione lo rende quasi impossibile».