LA VERITÀ D’UFFICIO DI UN GOVERNO PIÙ COMPATTO
La tesi di una maggioranza compattata dal ricorso alla fiducia sa di verità d’ufficio. Tanto più che per giustificarla il ministro per i Rapporti col Parlamento, Riccardo Fraccaro, si richiama ai governi precedenti. E ricorda che M5S e Lega per ora l’hanno chiesta due volte, gli esecutivi di centrosinistra l’avevano imposta per un quintuplo nello stesso periodo: osservazione corretta, e che ritorna tra le spiegazioni della sconfitta del Pd e dei suoi alleati. Ma di qui a presentarlo come un successo il passo è molto lungo.
Semmai, i Cinque Stelle cercano un modo per prevenire l’accusa di avere prevaricato il ruolo delle Camere. D’altronde, in parallelo il Movimento del vicepremier Luigi Di Maio ha deferito ai probiviri i cinque dissidenti ostili al decreto sulla sicurezza voluto dalla Lega. Sono usciti dall’aula del Senato, senza votare contro, ma non hanno voluto piegarsi, nonostante le minacce di espulsione neanche troppo velate. Questo rende il ricompattamento di ieri un risultato ambiguo; comunque non esaltante per i Cinque stelle.
La crepa tra i parlamentari grillini si è consumata su un provvedimento controverso; bollato come privo di coperture da parte degli uffici tecnici del Senato, sebbene il Viminale ritenga i rilievi superati. Ma soprattutto, brandito come un vessillo da Matteo Salvini in nome di un’idea di sicurezza imposta al M5S, e che lo ha spaccato. Il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, saluta «una storia nuova nella quale il bene vince sul male». Poco importa se gli effetti potrebbero essere opposti a quelli decantati da Salvini, con un aumento di immigrazione clandestina e crimine.
Il Carroccio canta vittoria in ogni trasmissione tv. E il M5S si aggrappa alla prescrizione per segnare un punto. Il leader leghista sembra pronto a concederla a Di Maio. Ma lo fa con una punta di sufficienza. «In un quarto d’ora, tra me e lui, abbiamo sempre risolto i problemi», assicura. L’irritazione grillina, tuttavia, non sta sbollendo. E le parole bellicose provenienti da Alessandro Di Battista, ancora in sabbatico in Nicaragua, sgualciscono i toni istituzionali della cerchia di Di Maio.
«Bisogna capire da che parte sta la Lega», avverte Di Battista. «Dalla prescrizione si capirà se sta pensando un minimo al Paese, o l’unico paese a cui pensa sia Arcore», una delle residenze di Silvio Berlusconi. Forse lo chiarirà il vertice a Palazzo Chigi che il premier Giuseppe Conte aveva annunciato, su pressione del M5S; e che Salvini aveva liquidato con toni quasi irridenti. Quanto durerà la tregua, però? Il capo leghista giura di non pensare al voto anticipato, pur crescendo nei sondaggi. Ma l’orizzonte della legislatura è vitale per Di Maio, non per lui.