La Consulta e le indagini della polizia «No all’obbligo di riferire ai vertici»
Dichiarata illegittima la norma introdotta due anni fa. «Lede l’autonomia dei pm»
Le forze di polizia che svolgono indagini giudiziarie non saranno più obbligate a riferirne il contenuto alla loro «scala gerarchica». La norma che ordinava agli investigatori di riferire ai rispettivi vertici «le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria», introdotta due anni fa, è stata dichiarata incostituzionale. Più precisamente, la Corte costituzionale l’ha considerata «lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzione». Cioè quello secondo il quale «l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria».
La decisione è arrivata ieri, con l’accoglimento del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato presentato dal procuratore di Bari Giuseppe Volpe, secondo il quale la legge violava la segretezza delle indagini e la competenza esclusiva della magistratura nella loro direzione. Dall’articolo 18 della legge 177 del 2016 era infatti derivata una circolare del capo della polizia e direttore generale della pubblica sicurezza, Franco Gabrielli, che dettava le modalità con cui commissari e marescialli dovevano inoltrare le informazioni sulle inchieste ai diretti superiori, e su su fino ai vertici. Non solo le notizie di reato, ma anche tutto ciò che «rappresenta uno sviluppo» delle inchieste.
Una deroga al principio del segreto investigativo (peraltro in favore di forze di polizia che rispondono al potere esecutivo) della quale lo stesso Gabrielli si era reso conto, tanto da raccomandare che fosse circoscritta «ai soli dati e notizie indispensabili a un adeguato coordinamento informativo», selezionando le «situazioni che appaiono di particolare rilievo». Il Consiglio superiore della magistratura aveva criticato la riforma, e così alcuni procuratori corsi ai ripari attraverso direttive tese a limitare possibili danni al loro lavoro. Ma il procuratore Volpe l’ha ritenuta un’invasione di campo incostituzionale al punto da mettere a rischio il principio della separazione tra i poteri. Perciò s’è rivolto alla Consulta che gli ha dato ragione, e adesso commenta soddisfatto: «È un grandissimo successo», utile a sventare «fughe di notizie riservate che potevano arrivare dove non dovevano con il rischio di compromissione delle indagini».
La Corte ha accolto il ricorso «pur riconoscendo che le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela». La decisione è stata presa al termine di un’approfondita camera di consiglio, dove probabilmente alcuni giudici hanno espresso pareri discordanti. L’inciso che definisce legittimi i motivi per cui era stata varata la norma dimostra che il problema di un coordinamento utile a evitare doppioni e razionalizzare le attività degli organismi investigativi esiste La legge
● Il decreto legislativo 177/2016 in tema di razionalizzazione delle forze di polizia, nell’articolo 18 obbligava di fatto gli agenti di polizia a informare i propri superiori gerarchici delle indagini che stavano conducendo, anche in deroga al codice di procedura penale
● La norma aveva suscitato subito le perplessità di parte della magistratura e di alcuni sindacati delle forze dell’ordine e va risolto. Non però — evidentemente — con una disciplina così drastica e invasiva delle prerogative dei pm. La sentenza che sarà resa nota nelle prossime settimane specificherà meglio i principi violati e dunque i binari entro i quali va ricondotta la doppia esigenza della esclusiva competenza dei magistrati nella direzione delle indagini affidate a polizia, carabinieri, Guardia di Finanza o qualunque altro Corpo, e quella del coordinamento.
Nell’attesa si verifica una curiosa anomalia. La legge dichiarata incostituzionale riguardava tutte le forze di polizia, e ad esse si era rivolto il prefetto Gabrielli. Ne rimane in piedi un’altra, l’articolo 237 del Testo unico delle disposizioni sull’ordinamento militare, secondo cui, «indipendentemente dagli obblighi prescritti dal codice di procedura penale (formulazione identica a quella della legge dichiarata incostituzionale, ndr), i comandi dell’arma dei carabinieri competenti all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, danno notizia alla scala gerarchica della trasmissione, secondo le modalità stabilite con apposite istruzioni dal comandante generale dell’arma». Ma questa norma non è stata formalmente contestata da nessuno, e dunque per i soli carabinieri resta l’obbligo di riferire ai propri superiori.
L’anomalia
Il dovere di informare i propri superiori resta però in piedi per i carabinieri